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CARBONIA FILM FESTIVAL

‘Le città di pianura’ di Francesco Sossai in una Veneto on the road

“Non c’è mai un’altra volta”: l’attimo da cogliere tra malinconia ed ironia

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Cosa succede quando due uomini di cinquant’anni si rifiutano di crescere? E cosa accade se il  loro destino li porta ad incontrare un giovane ragazzo che sembra il loro opposto? Ed infine: che ruolo hanno i “non-luoghi” quando la vita sembra ormai scorrere solo tra aeroporti, bar e strade infinite? Eliminando dalla cartina tutto ciò che è stato?

Le città di pianura di Francesco Sossai (2025), presentato a Cannesnella sezione: Un Certain Regard, e al Toronto International Film Festival arriva in Italia grazie a Lucky red che lo ha portato al cinema e al Carbonia film festival che lo presenta a Novembre in Sardegna e mette insieme tutte queste domande, e lo fa con uno sguardo che tiene insieme malinconia e leggerezza. Sossai, classe 1989, era già stato notato con Il compleanno di Enrico (2023) alla Quinzaine: lì raccontava il mondo dei più piccoli, mentre oggi si concentra sugli adulti, mostrando come anche chi ha cinquant’anni possa vivere sospeso in una giovinezza infinita.

Dal corto al film: dall’infanzia al mondo adulto

Con Il compleanno di Enrico Sossai aveva scelto lo sguardo dei bambini: la loro ingenuità ed i loro piccoli rituali. Qui in Le città di pianura cambia radicalmente registro. Decide di mettere al centro non più la scoperta del mondo, ma il disincanto e la leggerezza di chi rifiuta di crescere. Di chi cerca il segreto del mondo.

Uno dei personaggi porta il suo stesso cognome:

“Trovavo divertente utilizzare il mio cognome, tipico delle mie zone, dentro un racconto collettivo. È un modo per mettermi in prima linea e suggerire che quel mondo esiste davvero, che non è una finzione”

Questa scelta non è un vezzo, ma un modo per ancorare la storia ad un realismo autobiografico.

Così, se nel corto precedente il centro era l’età piccola, fatta di feste di compleanno e primi passi nel mondo, qui il nucleo diventa l’età adulta, ma guardata da chi si ostina a vivere come se non fosse mai passato il tempo. Un contrasto che rende evidente la coerenza di Sossai. Un autore che non racconta grandi storie epiche, bensì piccole fette di quotidiano, scovando poesia nei più minimi gesti.

Carlo Bianchi e Doriano in un mondo industrializzato

Il cuore del film sono Carlo Bianchi (Sergio Romano) e Doriano (Pierpaolo Capovilla). Due uomini della classe operaia, spiantati e senza direzione, che vivono solo per l’ennesimo “bicchiere della staffa”. Non hanno grandi sogni, né ambizioni: la loro vita si consuma tra bar di provincia e notti infinite, incarnando uno stereotipo del Veneto che però diventa anche un ritratto universale di chi si aggrappa ai piccoli piaceri per resistere al tempo che passa.

L’opera cinematografica si apre invece con una scena straniante: due uomini sconosciuti, su un elicottero, che vogliono regalare un Rolex ad un operaio. Non sono i protagonisti, bensì rappresentano un’immagine volutamente grottesca, che richiama le assurdità del capitalismo contemporaneo e la distanza tra le classi sociali. Da lì Sossai ci porta subito a terra, letteralmente, tra chi davvero conosce la fatica quotidiana e chi pur avendo solo la terza media si trova comunque ai piani alti. Doriano e Carlo Bianchi uscito da ragioneria, con quei baffi che ricorda Matti Pellonpää sembrano usciti da un film di Aki Kaurismäki. Il loro atto di ribellione diventa dunque la libertà di vivere la vita con spontaneità.

Un film on the road tra non-luoghi

La regia di Francesco Sossai non si limita a fotografare due uomini che girano bar dopo bar, bensì costruisce un vero e proprio on the road padano, un viaggio che non porta ad una meta, ma ad una continua deviazione. I protagonisti vivono nei non-luoghi, tra pub, feste improvvisate, addii al nubilato e lauree imbucate. Venezia, Padova, Treviso diventano sfondi attraversati distrattamente, mentre i loro veri punti di riferimento restano i bicchieri e i tavolini.

La fotografia di Massimiliano Kuveiller, con la scelta del 35mm e del 16mm, restituisce un Veneto malinconico ed allo stesso tempo vivace, dove la pianura padana si trasforma quasi in un personaggio a sé: piatta, infinita e nostalgica. Un paesaggio che amplifica la leggerezza e la precarietà dei protagonisti, ricordando in certi momenti il tono de Il sorpasso. Non vi troviamo però l’ambizione di insegnare, bensì solo la vita che scorre.

L’arte del cogliere l’attimo in Le città di pianura

Il film trova la sua frase chiave in un’espressione che ritorna più volte:

“Non c’è mai un’altra volta”

È un mantra che accompagna il viaggio e ne diventa il cuore filosofico dell’opera: il tempo non torna indietro, o cogli l’attimo o lo perdi. Sossai gioca con questa idea, perché in fondo i protagonisti cercano proprio di costruire nuove occasioni, di inventare altre possibilità, anche se hanno cinquant’anni.

È in questo contesto che appare Giulio (Filippo Scotti), che al Festival di Venezia 2021 vinse il Premio Marcello Mastroianni per È stata la mano di Dio. Un giovane studente di architettura, inizialmente distante dal loro mondo: serio, responsabile, con un forte senso del dovere. Sin da subito capiamo che per poter evolvere, Giulio, dovrà incrociare il viaggio  di Carlo Bianchi e Doriano. Così facendo anche lui viene trascinato nella deriva del presente.

Ricordi, flashback e il peso del passato

Pur con una narrazione lineare, Sossai innesta dei flashback che non spezzano il ritmo, ma arricchiscono la storia. Sono ricordi, frammenti di un vissuto che Carlo Bianchi e Doriano portano addosso e che raccontano a Giulio per spiegargli chi sono e cosa hanno perso. Tra questi emerge la figura di Eugenio, amico trasferito in Argentina, che diventa simbolo di quelle vite parallele e di quelle possibilità in parte colte.

Il regista gioca con i contrasti: tra la linearità del presente e il peso del passato. Lo fa anche attraverso i luoghi: l’aeroporto di Treviso, dove vogliono andare a prendere l’amico, definito come

“una trappola per turisti”

Un concetto che ricorda l’assurdità di altri scali low-cost europei, come Milano Bergamo o Paris Beauvais. Spazi che promettono vicinanza ma allungano le distanze, proprio come le vite dei protagonisti: sempre in corsa, ma senza mai arrivare da nessuna parte. Proprio come l’opera d’arte trovata da Giulio a casa del conte. L’insinuazione che i luoghi  possano avvicinarsi. Non con l’arte, bensì dal mondo in cui viviamo.

Tra la vita dolce e amara

Tra i momenti più significativi del film, c’è la visita al Memoriale Brion, recentemente visto anche in Dune: Part Two. Per Carlo e Doriano, però, non è un luogo di memoria o d’arte, ma l’ennesimo spazio sconosciuto, mai visitato prima nonostante la vicinanza. È la conferma della loro condizione: vivono i luoghi solo attraverso i piaceri immediati.

Eppure in quell’architettura e nei luoghi incontrati si inserisce una riflessione più profonda fatta nel corso del road trip:

“è il segreto del mondo mondo o del vostro mondo?”

Chiede Giulio all’inizio del suo viaggio. Ma per i tre non vi è differenza. L’unico obiettivo è di trovare la risposta andata perduta. Immaginata tra una birra e l’altra.

Le città di pianura non è solo un ritratto del Veneto, ma una romanticizzazione della pianura padana, vista con occhio insieme comico e malinconico. Serve dunque  davvero una meta? Soprattutto quando basta lasciarsi trascinare dal presente? In fondo, non è questo il bello: vivere senza aspettarsi nulla, e godere dei più piccoli piaceri?

In sala dal 25 settembre con Lucky Red.

Le città di pianura

  • Anno: 2025
  • Durata: 98 minuti
  • Distribuzione: Lucky Red
  • Genere: commedia, drammatico
  • Nazionalita: Italia, Germania
  • Regia: Francesco Sossai
  • Data di uscita: 25-September-2025