Sentiero Film Factory

‘Che verso fa il pesce spada?’ – Una ricerca tra suono e amore

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Che verso fa davvero il pesce spada? E cosa succede quando un uomo insegue quel suono come se fosse una melodia perduta? Alla 5ª edizione di Sentiero Film Factory arriva Che verso fa il pesce spada?, il nuovo documentario di Giacomo Triglia, che per pochissimi attimi sembra partire come una fiction, un’immersione in una storia personale che presto si rivela un documentario puro, vivo, capace di intrecciare il presente con il mito. Un’opera presentata in anteprima mondiale al Biografilm Festival di Bologna 2025. Non si tratta dunque della prima comparsa cinematografica di Triglia, il quale ha debuttato nel 2004 con il mediometraggio Jørgen’s Son, selezionato al Torino Film Festival.

Che verso fa il pesce spada? è un viaggio che nasce nel cuore del Sud, nel borgo di Scilla, tra le acque e le tradizioni, trovando in Peppe il suo centro emotivo. Peppe Voltarelli decide di raccontare l’antica arte della pesca del pesce spada, mentre parallelamente compie la sua ricerca riguardante Lucia, l’amore perduto. Nel suo progetto di documentazione, la cultura locale e la nostalgia iniziano pian piano a fondersi, rendendo l’osservazione ben presto introspezione.

Tra Peppe e Lucia: il mare come memoria

Il film si apre con Peppe, microfono in mano, che cerca di catturare un suono impossibile: il verso del pesce spada. È il punto di partenza per una ricerca che è insieme: concreta ed interiore, dove la domanda sull’animale diventa il pretesto per indagare il ricordo di Lucia, il suo grande amore.

La storia si muove tra borgo, reti, barche e maree, muovendosi su due binari: da una parte la tradizione della pesca del pesce spada, dall’altra la ferita personale di Peppe. Insegue memorie, voci e canti che lo riportano sempre a Lucia, mentre tenta di capire se il mare custodisce veramente la risposta per lui.

Viene spontaneo il paragone con Re Granchio (2021) di Alessio Rigo de Righi e Matteo Zoppis: anche lì un uomo cerca di recuperare il ricordo di un amore perduto attraverso un animale marino. In quel caso era un granchio, qui è un pesce spada. Un parallelismo affascinante: due uomini, due animali, due memorie da inseguire.

La ciurma, i riti e la voce del mare

Per entrare davvero nella vita dei pescatori, Peppe decide di non essere un osservatore esterno. Non vuole “essere trattato da turista”, chiedendolo apertamente: vuole essere parte della ciurma. Così conosce “Grinfia”, soprannominato così per il suo carattere sempre arrabbiato, e Rocco, detto “l’americano” perché il più esperto, il più ricco di saggezza ed esperienza, assieme alla loro ciurma.

Tra i racconti più intensi, c’è quello di un anziano pescatore, maestro nell’uso della feluca e della fionda per catturare il pesce spada. Ora che i figli e i nipoti sono cresciuti, gli hanno fatto capire che è tempo di lasciare spazio a loro. Ma lui non riesce a stare lontano dal mare: si mette sul balcone con il binocolo, osserva ogni movimento degli altri pescatori e si arrabbia quando “non fanno ciò che avrebbe fatto lui”.

“Quando arriva sta pesca, per me è un inferno”

dichiarava sua madre, che è arrivata a 120 anni. Perché ogni sera, a cena, la tensione era proprio lì, concentrata sulla cattura.

Intanto, mentre il dialogo prosegue scopriamo dettagli tecnici affascinanti: una passerella di 32 metri viene costruita apposta perché il pesce non senta il passo dell’uomo sulla barca. È dunque un rito di precisione.

L’atto della pesca

Che verso fa il pesce spada? ci porta dentro l’attesa, i preparativi, la pesca vera e propria ed infine i canti che partano da Peppe Voltarelli stesso. Difatti, l’attore  è anche un cantante e nell’arco della sua carriera da solista ha pubblicato ben sette album in studio e quattro colonne sonore, seguite da due concerti. Tutti questi attimi e frammenti di quotidianità, tra cui il parrucchiere di Peppe, vengono accompagnati da una fotografia meticolosa.  Carlo Edoardo Bolli  decide di  dare spazio ai toni del blu e del verde acqua, colori che ricordano il riflesso cangiante del mare. In certe scene sembra quasi ricreare un’atmosfera da fiction, poi la camera cambia, passa ad un’estetica più amatoriale e spontanea, e il documentario si rivela pienamente.

Con il trascorrere delle giornate i pescatori raccontano la loro passione con orgoglio:

“Rappresenta una cosa sacra che merita rispetto”

sostiene uno di loro, mentre Peppe inizia ad immergersi nel mestiere.

 “Promemoria uno: in Sicilia la barca si chiama feluca”

annota Peppe, il primo di una lunga serie. La feluca, barca tradizionale, diventa dunque un vero e proprio personaggio, parte integrante dell’atto. Dopo la pesca, uno dei pescatori gli traccia sulla pelle una cardata da cruci:

“Cardata significa graffio”

È il graffio della croce, così il malocchio resta lontano. Il momento della cattura, divine dunque un azione in cui la tensione è palpabile, e tra un richiamo e una chiacchera si alternano silenzi e improvvise esplosioni di vita. Peppe vuole sentire tutto, capire tutto: il rapporto dei pescatori con il pesce, con il mare, con sé stessi.

Un viaggio interiore tra mito e ricordo

Man mano che la storia avanza, il documentario si fa più intimo, quasi onirico. Peppe cammina tra il paese e il mare con il microfono sempre alzato, chiedendo a tutti: il verso del pesce. Lo chiede per strada, tra i borghi di Scilla. Ma è una domanda che diventa sempre più grande, più esistenziale, come se la risposta riguardasse anche il cuore.

In un momento corale, i pescatori intonano un canto, Peppe suona la chitarra e con un brindisi finale risuona tra tutti:

“A Lucia!”

Qui la pesca si fonde definitivamente con l’amore perduto. È come se il mare fosse testimone di entrambe le ricerche: quella dell’animale e quella della memoria. Riuscirà mai Peppe a trovare una risposta, sia per il cuore che per il verso?

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