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‘Come ti muovi, sbagli’ conversazione con Gianni Di Gregorio
‘Come ti muovi, sbagli’ continua a raccontare la commedia umana di Gianni Di Gregorio con qualche novità
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9 ore agoon
Come ti muovi sbagli di Gianni Di Gregorio è il film di chiusura delle Giornate degli Autori a Venezia 82. Prodotto da BiBi Film, Rai Cinema, Les Films du Poisson e distribuito da Fandango, il film è una commedia con lo stesso Gianni Di Gregorio protagonista. In occasione della presentazione del film Come ti muovi sbagli abbiamo fatto alcune domande a Gianni Di Gregorio.
Gianni Di Gregorio e il suo Come ti muovi sbagli
Se tornare a lavorare coincide col guardare i tuoi film, e in particolare Come ti muovi sbagli, allora è sempre una festa.
Ti ringrazio tanto per questa intervista. Sono un lettore assiduo di taxidrivers.it quindi non vedo l’ora di vedervi pubblicata questa conversazione. Poi, lo sai meglio di me, che finché non è uscito il regista non capisce mai che film ha fatto. Parlare con i critici aiuta a comprendere la portata del nostro lavoro. Lì o ti rassicuri oppure iniziano i guai (ride, ndr).
Seppur in continuità con i lavori precedenti Come ti muovi sbagli presenta delle novità che meritano di essere segnalate e approfondite. Penso per esempio al fatto che per la prima volta appari sullo schermo in veste di nonno e dunque alle prese con i problemi di figli e nipotini.
Un po’ per un fatto anagrafico, un po’ perché nei miei film vengono sempre fuori aspetti autobiografici mi è venuto naturale pensarmi in quelle vesti.
È come se questo personaggio portasse a compimento una sorta di ricognizione nel mondo maschile di mezza età in cui tu sei stato a seconda dei casi marito, amante, compagno e amico.
Mi sono sentito quasi obbligato a farlo. Ritrovandomi in questa posizione nella vita reale ho cercato di raccontarla nel modo migliore possibile. Da qui la decisione di figurare all’interno del film in una posizione meno centrale delle scorse volte per lasciare più spazio agli altri personaggi.
Novità e sorprese
A proposito di novità, l’antefatto di Come ti muovi sbagli è quanto meno spiazzante. Di solito siamo abituati a vederti fin da subito mentre qui non succede.
È stata una cosa voluta che ho dovuto difendere con tutte le mie forze perché in molti, a cominciare dal produttore, mi dicevano che dovevo per forza esserci perché io sono l’effige dei miei film.
Ancora più inattesa è la sua ambientazione. In un cinema come il tuo, fortemente localizzato, in cui il centro del mondo corrisponde al quartiere di Roma dove vive il protagonista dei tuoi film, ambientare la premessa fuori dai confini nazionali è a dir poco originale.
Ci tenevo tantissimo a rompere questa abitudine incominciando il film in maniera insolita. Per farlo mi sono affidato alla potenza di Tom Wlaschiha, attore tedesco dotato di un’incredibile presenza scenica. Tutta la troupe ne era innamorata. Considera che in Germania è una specie di divo perché ha partecipato alla serie Il Trono di Spade. Non conoscendolo di persona gli ho spedito il copione per fargli leggere la storia e la fortuna ha voluto che se ne sia subito innamorato. Considera che ciò che fa nel film il suo personaggio, ovvero il viaggio a piedi dalla Germania all’Italia per chiedere alla moglie il perdono per il suo tradimento è una storia vera che mi è stata raccontata dal mio sceneggiatore. Anche il dettaglio di quando lui a un certo punto non ce la fa più e si fa venire a prendere alle porte di Roma è realmente accaduto. Insomma tutto quello che si vede nel film è reale. Lo so che sembra inverosimile ma nel film ho riportato per filo e per segno fatti veri. Oltre a essere bellissima, questa storia mi ha dato occasione per far respirare il film che svolgendosi a casa del mio personaggio e raccontando la vita con figlia e nipoti correva il rischio di diventare una specie di sit-com.
Anche il tema dell’amor fou, ispirato dalla storia di Paolo e Francesca e presente nella sequenza introduttiva, è qualcosa di molto lontano dalla poetica dei tuoi film, di solito più propensi a raccontare innamoramenti più quieti e rassicuranti. Non a caso la scena seguente è inserita come una sorta di contraltare con te intento a scansare le troppe attenzioni del personaggio interpretato da Iaia Forte.
Sì, è vero. Lui vuole in qualche modo difendere la sua solitudine fatta di una vita tranquilla e abitudinaria, lontana da quella molto più appassionante di cui parla il professore tedesco riferendosi alla relazione tra Paolo e Francesca. Da sempre sono stato abituato a vivere in famiglia, prima con mia madre, poi con moglie e figlie per cui adesso che sono vecchio una parte di me si ritrova spesso a immaginare come sarebbe stata la vita senza una famiglia. Il film ha preso spunto un po’ da questi pensieri. D’altronde della famiglia ci lamentiamo un po’ tutti perché in qualche modo ti toglie un po’ di libertà anche se poi non possiamo fare a meno della potenza amorosa che troviamo al suo interno.
I sentimenti in Come ti muovi sbagli di Gianni Di Gregorio
Non a caso i tuoi film, soprattutto gli ultimi, sono attraversati da due sentimenti opposti: da una parte c’è la voglia di fuga, dall’altra l’attaccamento alle proprie abitudini. Questo si riflette anche nella scelta delle ambientazioni che partono da luoghi chiusi e circoscritti per poi aprirsi all’esterno alla ricerca di spazi sconfinati.
Hai ragione. Mi fa piacere aver sentito queste parole perché vuol dire che non è solo una cosa presente nella mia testa ma che è anche visibile nel film. Mi rendo conto che per me oggi la fuga è solo un sogno, ma non mi voglio negare il piacere di parlarne. Mi rendo conto della difficoltà a descrivere una realtà così diversa dalla mia, ma così facendo posso almeno sognarne l’esistenza.
Nel film questa esistenza è ripresa in forma poetica diventando una vera e propria avventura. A differenza di altri film dove l’altrove era uno spazio filosofico in Come ti muovi sbagli il luogo altro diventa materia avventurosa con il viaggio che assume un’iconografia fantasy.
Con questo film volevo trasmettere il piacere di fare una storia di movimento e di avventura per cui sono contento che questo si senta durante la visione.
Il fantasy
Del fantasy ci sono le presenze archetipiche del bosco, del viandante, del lupo e della notte.
Sì, hai ragione. La presenza del lupo è rimasta in dubbio fino al giorno prima dell’inizio delle riprese. A farmi decidere in senso positivo è stata la forza con cui ho sentito che l’incontro tra il lupo e il viandante era davvero necessario e come dici tu iconografico.
L’associazione tra la fantasia e la meraviglia dei bambini e la presenza del lupo regalano al racconto una visione fiabesca della vita.
Sono d’accordo con te. Sono stato molto attento a inserire il lupo all’interno del film. La sua presenza si poteva rivelare un’arma a doppio taglio invece quando lo vediamo per la prima volta in scena accanto a Tom il risultato emana una potenza che ricorda il cinema fantasy. Le riprese sono incominciate proprio da quella scena. In realtà non ho girato in Germania ma nel Gran Sasso il giorno prima che fosse chiuso a causa della neve quindi era destino che la storia andasse in quella direzione. La mia fortuna è stata anche quella di avere a che fare con un attore come Tom che sembrava davvero insensibile al freddo. Io lo inseguivo per mettergli addosso delle copertine e lui abituato a Il Trono di Spade era sempre pronto a dirmi, – se vuoi mi butto nella neve! -. Il suo modo di lavorare mi ha trasmesso una forza incredibile. L’ho apprezzato molto.
La sensibilità
Nella prima sequenza il professore tedesco commentando la Divina Commedia afferma di come Dante fosse conquistato dall’umana imperfezione dei suoi personaggi. Parliamo di un tipo di sensibilità che è anche un po’ la tua.
Sì, in questo penso di essere in qualche modo vicino al sentimento di Dante verso i suoi personaggi. D’altronde parliamo di un sentimento molto moderno e largamente condiviso. Poi la vicenda di Paolo e Francesca mi ha colpito fin da ragazzo e ci tenevo a farla diventare rappresentativa delle fragilità umane.
Dalla prima scena capiamo che il tema dell’amore è ancora una volta al centro delle vicissitudini dei tuoi personaggi. Il professore fedifrago ammette il suo sbaglio, ma è anche consapevole del rimpianto che avrebbe avuto se non avesse ceduto alle proprie tentazioni. Insomma, Come ti muovi sbagli ci dice fin dal titolo che in amore è difficile fare la cosa giusta.
Infatti il titolo del film era riferito proprio a quello che dice il professore tedesco. Solo dopo ho pensato potesse rispecchiare anche quello che succede in famiglia perché anche lì ti capita sempre di sbagliare pur agendo a fin di bene. In quel contesto i dialoghi tra me e Greta Scarano sono quelli che lo rispecchiano più di tutti perché con la mia vera figlia è successa la medesima cosa. Lei stava delle ore a spiegarmi le ragion della sua crisi lavorativa. Io cercavo di aiutarla a trovare una soluzione, ma finiva sempre con lei che mi rimproverava perché non sapevo darle i giusti suggerimenti.
Nel film stabilisci un parallelismo tra il tuo personaggio e il marito di tua figlia. Nonostante siano entrambi professori si trovano in ambasce di fronte all’amore dimostrando che non c’è studio né cultura che aiutino ad affrontare gli imprevisti dell’amore. Siamo tutti indifesi di fronte a lui.
È una cosa che ci tenevo a dire per cui anche qui mi fa piacere constatare che il messaggio è arrivato. Alla fine non c’è cultura o estrazione che tenga. Davanti all’amore siamo tutti uguali.
Gianni Di Gregorio da parte in Come ti muovi sbagli
In Come ti muovi sbagli i personaggi di contorno sono più centrali di altre volte. Nel corso della storia sembra quasi che tu ti metta da parte per osservare le vite degli altri facendone tesoro quando si tratterà di prendere certe decisioni che riguardano la tua.
È stata una sorta di passività voluta. Qui mi interessava che arrivassero i sentimenti altrui a cominciare da quelli di mia figlia che Greta Scarano è stata bravissima a interpretare considerando che il suo non era un ruolo facile.
Greta Scarano doveva interpretare una parte drammatica all’interno di una commedia quindi aveva il compito non facile di trovare un equilibrio tra queste due nature. Non doveva essere troppo esagerata né da una parte né dall’altra.
Esatto. Di lei mi è piaciuta l’ironia che è riuscita a far venire fuori in una donna che in quel momento stava enormemente soffrendo.
È diventata così brava come regista che per un attimo avevamo dimenticato quanto lo fosse come attrice.
Parlando con lei ho sentito una ricerca e una profondità simile a quelle che cercavo per il suo personaggio. Mentre le facevo i complimenti per il suo primo film da regista sentivo una combattività e un lavorio interno che mi hanno convinto a prenderla. Nel corso delle riprese è stata molto presente tanto che due scene mi ha chiesto di farle in un modo che secondo lei le sarebbero riuscite meglio, cosa che ho assecondato volentieri. Come regista il suo modo di essere mi è stato di grande aiuto per trovare il modo migliore di realizzare il film.
Un mondo diverso
Nei tuoi film sei riuscito a creare un mondo a tua immagine e somiglianza. Un universo che sembra uguale al nostro, ma allo stesso tempi differente. La mancanza di riferimenti alla cronaca contemporanea e l’assenza della componente tecnologica concorrono in maniera determinante a creare un mondo sospeso e indefinito in cui a contare sono sono i sentimenti e le azioni dei personaggi.
Vedi, su questo per esempio non mi ero mai soffermato però riflettendoci mi accorgo che è proprio vero. Nei film c’è la mia paura nei confronti della tecnologia di cui non mi fido perché non so usare bene. L’avevo fin da ragazzo e chissà se mai smetterò di averla. Preferisco di gran lunga i sentimenti per chi hai ragione, per me non può essere che così.
Dal punto di vista della scrittura la mancanza di questi due aspetti può essere un vantaggio perché ti aiuta a concentrarti meglio sui temi del film ma ti pone anche dei limiti perché avere meno agganci con la realtà significa avere meno spunti per sviluppare la sceneggiatura.
Guarda, per me si tratta di una cosa istintiva. Avendo queste paure mi viene naturale occuparmi dei sentimenti escludendo tutto il resto. Se ci fai caso i miei film sono quasi sempre privi di telefonate perché mi fido poco anche di quelle. Qui mi hanno costretto a metterle per cui mi ci sono dedicato con grande cura inserendole in maniera molto misurata.
Il successo di Gianni Di Gregorio
Il tuo cinema ha molto successo in Francia. I manifesti di Astolfo campeggiavano per le vie di Parigi a testimonianza dell’affetto del pubblico transalpino nei tuoi confronti. In parte credo che questo possa derivare dall’amore per un modo di interpretare i personaggi che alla maniera di Moretti e Woody Allen è regolato da uno stile molto personale che finisce per stabilire il tono del film.
Da ragazzo non volevo fare l’attore. Negli anni settanta ho studiato regia iscrivendomi alla scuola di Alessandro Fersan che privilegiando il metodo Stanislavskij era fautrice di una messa in scena più naturalistica possibile. In più come amante di Rossellini avevo capito che nella realtà c’è qualcosa che valeva la pena rappresentare. Infine tieni conto che dopo il successo di Pranzo di Ferragosto mi hanno sempre obbligato a recitare per cui da lì in poi sono iniziati i miei tormenti perché se la regia mi diverte un mondo, fare l’attore è faticoso perché stare davanti alla mdp è faticoso, avendo sempre qualcuno che ti riprende dicendoti come devi stare. Alla fine ho trovato un compromesso continuando a fare l’attore avendo però l’accortezza – come hai notato prima -, di ridurre sempre di più il mio ruolo. In più il mio modo di recitare mi comporta un vantaggio perché l’estrema naturalezza con cui lo faccio spinge gli altri attori a fare altrettanto ed è questo il segreto per dare un certo tono al film. È come se tu fissassi le note di una musica a cui gli altri vanno inevitabilmente dietro.
Per un regista dirigere i bambini è una grande sfida. Per te com’è stato?
Direi molto bene. Anna Losano è meravigliosa e per questo è destinata a diventare una grande attrice, il bambino invece era una peste proprio come si vede nel film. Durante le pause dovevamo tenerlo in quattro poi quando scattava il ciak si comportava come un vero professionista. È davvero un genietto, uno di quei bambini superdotati.
Le location
Il mondo che racconti risulta così cristallizzato che il minimo scarto finisce per fare una grande differenza. In questo modo per te far credere di essere in Germania girando in Italia consiste nell’evitare di allargare troppo l’inquadratura. Oltre a uno stile di regia questa maniera è un’ottima soluzione per risparmiare sul budget facendo contenti i produttori. Qual è la verità?
Hai colto nel segno. Cerco sempre di semplificare perché già mi immagino le risposte dei produttori. Quando ho detto che volevo andare in Germania a girare il film si sono subito spaventati. In questi casi mi viene sempre fuori una scelta di ripiego che però ha un rigore tale che mi consente di portare a casa il risultato voluto. Alla fine i produttori sono contenti perché i miei film costano poco e qualcosa incassano.
Si può dire che questo sia diventato anche il tuo stile?
Un po’ hai ragione. Nei miei film c’è sempre una continua sottrazione come pure il rigore con cui la metto in scena, considerando che non è facile mantenerlo per tutto il film. Per riuscirci lavoro tanto in fase di preparazione. Mi prendo un anno per pensare alla storia e poi un altro per scriverlo per cui quando arriva il giorno delle riprese sono preparato. I miei film hanno bisogno di poter maturare con il loro ritmo che di solito non è diverso di chi vorrebbe che tutto si svolgesse in maniera veloce. Alla fine sono felice di riuscire a prendermi i miei tempi perché non sarei mai capace di fare un film in cui non credo fino in fondo.