Taxidrivers ha voluto inserire La Storia Infinita del compianto Wolfgang Petersen (Air Force One, Troy) nella rubrica cult movie, e in particolare lo sentiranno tale coloro che hanno vissuto le avventure di Atreyu e Bastian quando erano ancora bambini.
Tratto dall’omonimo romanzo fantastico di Michael Ende (Die unendliche Geschichte, 1979), il film, uscito nel 1984, è stato per lungo tempo una delle produzioni tedesche più costose mai realizzate. O per meglio dire, dalla Germania dell’Ovest, che per il crollo del Muro di Berlino c’era ancora da aspettare.
Quelli che ci sono sembrati effetti speciali straordinari, visti con l’occhio moderno, sembrano uno show di burattini: eppure La Storia Infinita conserva ancora oggi una schiera enorme di fedeli fan, affezionati a quell’universo che al tempo, era pura magia. Non stupisce quindi, che a distanza di più lustri, ci sia chi insegue addirittura il reboot.
Dal libro al film, una Storia Infinita
Il romanzo di Michael Ende si estende oltre il finale del film, che infatti ho dovuto cercare un suo epilogo alternativo, lasciando l’autore indispettito a tal punto da trascinare l’altra parte (la produzione) alle vie legali.
La questione ha inflitto sul secondo episodio della trilogia, le cui riprese sono iniziate in ritardo, richiedendo un necessario rimpiazzo di tutti gli attori, ovvero Barret Oliver nei panni di Bastian (D.A.R.Y.L., 1985, Cocoon, 1985), Noah Hathaway in quelli di Atreyu e Tami Stronach che interpreta l’Imperatrice Bambina.
La Storia Infinita racconta di Bastian, un bambino di dieci anni, vorace lettore, spesso perso proprio nei mondi fantastici dei suoi libri. Per la sua atipicità, viene bullizzato da tre compagni di classe e si rifugia casualmente in una libreria di un bizzarro personaggio che lo incita, in un modo tutto suo, a tuffarsi nella lettura di un libro “speciale”, La storia Infinita appunto. Nelle parole del libro ha così inizio un’altra avventura, quella di Atreyu: un guerriero bambino che parte alla ricerca della cura per l’Imperatrice Bambina, prima che tutto il suo mondo, Fantàsia, venga inghiottito dal Nulla. Per farlo, dovrà trovare la tartaruga millenaria Morla, sfidare l’Oracolo del Sud e affrontare il terribile lupo Gmork che lo insegue fino ai confini di Fantàsia contando sulle sue forze e quelle dei suoi numerosi e inaspettati alleati.
What is the Nothing?
It’s the emptiness that’s left. It’s like a despair, destroying this world.
Leggere il tempo
La Storia Infinita è senz’altro un film “di altri tempi”, che nella banalità della definizione rappresenta esattamente come arrivi, prima di tutto, da un’altra epoca cinematografica, avendo compiuto proprio l’anno scorso 40 anni! E questo in termini filmici, ha la stessa portata di un’era geologica.
Inoltre, la narrazione rispetta una ritmica che era quella del taglio della pellicola, della strutturazione manuale del montaggio, dove i plot point vengono costruiti con un incremento del ritmo visivo in montaggio alternato, che adesso abbiamo dimenticato o a cui non abbiamo più bisogno di ricorrere così di frequente. Ecco perché i tempi sono davvero altri.
Ho avuto la fortuna di osservare la nuova generazione relazionarsi a questo film e trovarlo… noioso. Non perché la storia non fosse accattivante; ma perché quel ritmo atteso, per un cervello abituato ad overload informativi e temporali, il mite mondo di Fantàsia non lo può dare.
“Restare con i piedi per terra”
In questo film dai tempi moderati, gli adulti si fermano fuori dalla porta della soffitta e se provano ad entrare, inciampano e scombinano le cose. Fantàsia si solleva dal mondo terreno, ed è pertanto tutto dedicato a Bastian e ai bambini che rendono possibile l’impossibile, anche ammettono una strana accozzaglia di fenomeni, dettagli e personaggi. Per cui non si può che provare tenerezza.
Gli unici più maturi a cui è concesso di approssimarsi, sono due nani attempati e visionari, ovviamente strega e scienziato pazzo, che a loro volta per riacquisita ingenuità senile, strizzano l’occhio all’universo infantile.
È la conferma come ancora una volta bisogna sollevare i piedi da terra per poter partecipare, capire ed essere coinvolti nell’infanzia e nelle sue fantasie.
La Storia Infinita, oggi
Avrà ancora senso mostrare un film del genere ai nostri figli, dal momento che le creature sono enormi pupazzoni meccanici, ci sono infiniti errori sul set, e la celeberrima scena del cavallo Artax che affonda nelle Paludi della Tristezza, ha lasciato cicatrici impossibili da guarire?
Già lo scorbutico libraio della storia, dubitava che Bastian potesse leggere un libro così impegnativo, perché la più parte dei suoi compagni preferiva i videogames. Cosa ne avranno mai i bambini di oggi, da queste storie old fashioned, lente e posticce, dove gli effetti sono speciali e non digitali, e che ci ricordano come l’origine di quest’arte sia stata prima di tutto, artigianale?
Proprio questo, il senso della creazione.
I vecchi film hanno sempre una ragione per essere ripassati, per la stessa logica per cui raccontiamo delle pitture rupestri dell’uomo primitivo: perché il cinema ha avuto un suo Big Bang e da lì si è evoluto tutto il resto, ad una velocità supersonica.
Mostriamo La Storia Infinita per responsabilizzare sull’importanza di avere delle storie che funzionano e che esercitano l’arte della narrazione e della fascinazione ancora prima di appellarsi al supporto digitale. Per ricordare quale enorme stimolo ci regalino le parole dei libri, le cui immagini vengono compensate dalla nostra immaginazione. E come questo creare astratto sia ancora e sopra a tutto, uno dei più grandi traguardi dell’uomo di cui dobbiamo rimanere fedeli promotori.
Prima che Il Nulla (o l’AI) si porti via l’interesse per quel passato da fossili con tutto il suo gradevole universo cringe.