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In Sala

Gigolò per caso

Al nome John Turturro riaffiorano alla mente i personaggi più stravaganti e fuori dalle righe del cinema contemporaneo. Ma godendo della visione del suo ultimo lavoro “Gigolò per caso”, che lo vede sia in veste di attore che dietro la mdp, sembra che la rotta sia cambiata e che si sia avvicinato molto di più alla realtà

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Gigolò per caso

 

Anno: 2013

Distribuzione: Lucky red

Durata: 98′

Genere:  Commedia

Nazionalità: USA

Regia: John Turturro

Data di uscita: 17 aprile 2014

Al nome John Turturro riaffiorano alla mente i personaggi più stravaganti e fuori dalle righe del cinema contemporaneo. Il suo viso asimmetrico, quello sguardo stralunato e il suo carisma scenico l’hanno reso versatile e adatto a ruoli diversissimi tra loro. È uno di quegli attori che rimane impresso per la sua follia, intesa come fantasia nel caratterizzare un’interpretazione e per la sua imprevedibilità. Chi è che non ricorda Jesus ne Il grande Lebowski pur essendo all’interno della storia un personaggio secondario? Le sue origini italiane gli hanno permesso di “approfittare” della sua energia latina giocando col suo accento, sul suo aspetto e sulle potenzialità perlopiù comiche. Come la maggior parte degli attori brillanti, però, Turturro nasconde una natura malinconica e molto introspettiva: lo dimostra magistralmente in film come Barton Fink e La Tregua, ad esempio. Nel suo percorso di attore, avendo lavorato con grandi registi quali Scorsese, i Coen, Spike Lee, Peter Weir, Cimino, Woody Allen (e a breve lo vedremo anche con Nanni Moretti), ecc…John Turturro sviluppa una sua personale sensibilità anche in qualità di autore e si cimenta per la prima volta alla regia nel ’92 con Mac, nel ’98 con Illuminata, fino ad irrompere nel 2005 con il musical romantico e surreale Romance & Cigarettes e nel 2010 con Passione, un omaggio a Napoli e alla cultura musicale partenopea. Il tratto distintivo sembra sempre essere stato una forte eccentricità legata a doppio filo con uno struggente romanticismo e un pizzico di humor nero.

Ma godendo della visione del suo ultimo lavoro Gigolò per caso, che lo vede sia in veste di attore che dietro la mdp, sembra che la rotta sia cambiata e che si sia avvicinato molto di più alla realtà. La storia nasce e cresce in modo armonioso e con una certa grazia e fin da subito si sorride e si presentano, gentili, i toni leggeri della commedia. Murray (il personaggio interpretato da Woody Allen) arriva subito al sodo nel proporre al suo vecchio amico Fioravante (Turturro) una soluzione per combattere la crisi che, purtroppo, ha fatto sì che chiudessero i battenti del suo piccolo negozio di libri rari. Entrambi vivono a New York (che in diverse inquadrature, nella scenografia e nella fotografia curata dal suo fedele collaboratore Marco Pontecorvo, assume un sapore piacevolmente retrò facendola apparire come “la vecchia York”) e Fioravante lavora part-time come fioraio. Egli ha sempre avuto quel “non so che” che piace alle donne: forse perché un lavoro manuale possiede un qualcosa di sensuale agli occhi di una donna, forse perché non essendo Richard Gere o George Clooney ha preferito puntare su altre sue doti o forse per quel suo modo delicato di parlare, muoversi, toccare…così come si sfiora un petalo di una rosa. La proposta di Murray altro non è che il mestiere più antico del mondo. Dove, ovviamente, il manager volpone prenderà una percentuale sugli incassi. Inizialmente Fioravante è molto scettico e si domanda perché una donna dovrebbe pagare per uno come lui che, obiettivamente, non è esteticamente bellissimo. “…e Mick Jagger allora?è forse un bell’uomo?…” , ribatte lo scaltro Murray in perfetto stile Allen nevrotico e traffichino. I due amici si scambiano consigli, dubbi imbarazzanti e complicità, mentre l’attività procede e Fioravante inizia ad essere sempre più richiesto e ad intrattenersi con donne di tutti i tipi. Egli scopre che ogni donna è diversa, sia nel corpo che nella motivazione che la spinge a cercare un uomo a pagamento che sia presente (non solo sessualmente), che la ascolti, la apprezzi, la faccia semplicemente divertire o sentire meno sola. E che non è scontato che l’amore di un uomo per il sesso equivalga all’amore per le donne…tutt’altro. E lo si capisce da fatto che molti di loro preferiscono passare il loro tempo in compagnia maschile. Ed è anche per questo che, invece, Fioravante fa la differenza. In fondo, attraverso la metafora della prostituzione, si racconta come spesso noi tutti soffriamo la solitudine e abbiamo fame di contatto e desideriamo essere compresi, amati, presi. Anche se per un’ora o poco più. Essendo NY una città multietnica (e questo si denota anche dalla scelta di Turturro di alternare nella sceneggiatura frasi in italiano, spagnolo e inglese che, purtroppo, verranno penalizzate dalla versione doppiata) lo spettatore viene messo a conoscenza delle varie contaminazioni che coesistono in quella realtà: nell’intento di Murray (ebreo non troppo praticante…) di scovare nuove clienti per Fioravante, entriamo nella comunità chassidica di NY, dove da anni sono riuniti gli ebrei ortodossi appartenenti a questa corrente religiosa abbastanza chiusa ed elitaria. Anche Avigal (interpretata dall’attrice francese Vanessa Paradis), vedova di un Rabbino e madre di ben 6 figli seppur giovanissima, sembra aver bisogno di Fioravante. La vita di una giovane donna chassidica è davvero dura, se si pensa che dopo i 18 anni venga tassativamente proibito alla donna persino di leggere testi che non siano quelli sacri e vengano private della loro femminilità indossando parrucche e abiti che le mantengano coperte dal collo fino alle caviglie. Anche lei riscopre il suo diritto a comunicare, a manifestare le sue emozioni più intime, a vivere. Il loro incontro sarà commovente e rappresenterà una delle scene più toccanti del film. E cambierà le loro vite. Altrettanto intenso, in termini di divertimento, il rapimento e il conseguente processo di Murray da parte degli anziani della comunità, che lo accusano di aver deviato Avigal verso comportamenti immorali e contro le loro rigide regole religiose.

Ancora una volta Allen, diretto stavolta non da se stesso ma da Turturro, gioca con la sua autoironia e con il suo essere sarcasticamente blasfemo. Le note di Tu si ‘na cosa grande, brani di musica araba, jazz, bossa nova e canzoni di Dalida, confermano questa contaminazione multietnica anche attraverso la colonna sonora, preferendo brani già esistenti alla composizione di musiche originali. Non mancano di certo le scene più piccanti, ma mai volgari, che vedono il nostro gigolò protagonista di performance erotiche assai spassose. Una su tutte, il ménage à trois con la caliente Sofia Vergara e la ricca dottoressa Sharon Stone (con “finale” a sorpresa…). Questo equilibrio filmico che è, allo stesso tempo irriverente e delicato, ha potuto realizzarsi grazie anche alla presenza di un cast femminile molto ricco e al lavoro attoriale raffinato intrapreso da Turturro sull’erotismo e le sue sfumature risultando assolutamente credibile nella parte. Elegante e denso di verità. L’universo femminile visto dagli occhi di un uomo sensibile. Se ci fossero nel mondo più uomini come John Turturro e Fioravante, di sicuro ci sarebbe più poesia e meno violenza. Sia nel cinema che nella realtà.

Giovanna Ferrigno

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