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‘Mektoub, My Love: Canto Due’: la conclusione imperfetta della saga diventata ormai leggenda

Il terzo capitolo della trilogia di Kechiche

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Per tracciare le coordinate della saga di Mektoub, dobbiamo tornare al 2017, nello specifico alla 74° edizione del festival di Venezia, dove il primo capitolo, Mektoub My Love: Canto Uno, è stato accolto da recensioni contrastanti. Abdellatif Kechiche, regista francese di origini tunisine, era al tempo reduce dal clamoroso successo de La Vita di Adele, film che gli valse la Palma d’Oro al festival di Cannes del 2013, ma che paradossalmente assestò anche un duro colpo alla sua carriera. Pochi mesi dopo il trionfo, ecco infatti esplodere le polemiche legate alle prolungate scene di intimità tra Lea Seydoux e Adele Excharchopoulos, che in piena epoca “Me too” hanno compromesso i successivi progetti di Kechiche, un autore che non avrebbe più incontrato i favori dell’industria cinematografica.

A fronte delle opinioni negative, inevitabili nel contesto di un cineasta controverso, Mektoub My Love: Canto Uno è riuscito comunque a conquistarsi la stima dei cultori del suo cinema, notoriamente carico di quella soffusa energia erotica che solo lui è capace di infondere persino ai dialoghi che non andranno mai a sfociare nel più lieve degli atti espliciti. Kechiche raccoglie l’eredità di Eric Rohmer, amplificando al massimo la libido che aleggia nell’etere e confermandosi come una presenza necessaria in un panorama cinematografico che ha paura del sesso e dell’apparente banalità dei ritmi dilatati.

La domanda sorge quindi spontanea; se questi film meritano davvero di essere visti, allora perché abbiamo aspettato così tanto?

Mektoub My Love, Canto Due: il motivo dietro la lunga attesa

Il vero disastro si consuma due anni più tardi a Cannes, in occasione dell’anteprima di Mektoub My Love: Intermezzo, film che tutt’oggi non è ancora mai stato proiettato al di fuori di quell’edizione del festival.

Il famigerato secondo capitolo è ambientato quasi interamente in discoteca, spingendo l’acceleratore su tutti quegli elementi che hanno fatto storcere il naso ai detrattori del regista in passato. Ma questa volta l’operazione di Kechiche è talmente indulgente e provocatoria che non sarà in grado di salvarsi in calcio d’angolo grazie ai suoi fan, costringendoli a quasi quattro ore di supplizio stroboscopico. Molti ipotizzano che sia stata una risposta al sorgere delle critiche, una terapia d’urto per voltare a sua volta le spalle a un mondo che ha tradito il suo impegno e cercato di rigettarlo.

Comunque sia, sarebbe superfluo aggiungere che il film è stato crocifisso da qualsiasi realtà critica operativa allora sul campo, risultando non appetibile per qualsiasi distributore. Ma il motivo che si nasconde dietro la sua censura è ben più complesso e spinoso, ed è necessario affrontare il discorso per comprendere al meglio l’entità dell’entusiasmo che circonda la presentazione a Locarno dell’ultimo capitolo.

La causa legale che ha bloccato Intermezzo

Ophelie Bau, attrice che interpreta l’omonimo personaggio nel film, ha accusato Abdellatif Kechiche di averla costretta a girare una scena esplicita senza il suo consenso, e di averla successivamente inclusa nel film senza nemmeno interpellarla in fase di montaggio.

Si tratta di una sequenza di sesso orale non simulato della durata di tredici minuti, nei bagni della discoteca in questione. Bau avrebbe saputio di questa scena proprio durante la prestigiosa anteprima al Grand Theatre Lumiere, abbandonando di conseguenza la sala e rifiutandosi di prendere parte alla consueta conferenza stampa che segue la presentazione dei film.

Stando alle dichiarazioni, il regista avrebbe esercitato pressioni non indifferenti per ottenere i contenuti spinti a cui ambiva, con l’aggravante che sul set girava alcool in abbondanza.
Non c’è quindi da stupirsi che persino al giorno d’oggi, dove chi è paziente può sperare di posare gli occhi virtualmente su qualsiasi titolo, Intermezzo sia stato cancellato dalla faccia della terra (e se mai dovesse uscire in futuro, non sarà certamente la versione di Cannes 2019).

Per gentile concessione di @Locarno Film Festival

Locarno 2025: il ritorno insperato

Ci eravamo ormai rassegnati, ma quando Giona Nazzaro, direttore artistico del festival di Locarno, ha annunciato l’inclusione di Mektoub My Love: Canto Due nel loro concorso internazionale, per i fan è iniziata la trepidante attesa di un evento cinematografico che potrebbe ancora una volta rivelarsi unico.

“Siamo davvero orgogliosi di poterlo presentare in anteprima mondiale. È stato uno dei primissimi film che abbiamo selezionato, ed è un’opera che ci restituisce Kechiche al meglio del suo talento. È una pellicola di una limpidità solare, assolutamente straordinaria, ed è, ancora una volta, la storia di formazione di una persona innamorata del cinema che tenta di trovare la sua strada nella vita.” Giona Nazzaro

Mektoub My Love, Canto Due: dove abbiamo lasciato i personaggi?

Siamo in Occitania, più precisamente a Sète, e corre l’estate del 1994. Amin fa ritorno a casa da Parigi dopo aver abbandonato gli studi di medicina per inseguire il sogno di diventare sceneggiatore e regista. Come di consueto lo attendono diversi impedimenti, tra cui la ricerca di aiuto per abortire della sua amica Ophélie, un amore estivo agli sgoccioli e la solita esuberanza del cugino Tony. Proprio quest’ultimo lo porterà a conoscere due ricchi statunitensi in vacanza in una delle ville in collina che sovrastano la vita del posto. Si tratta di un potente produttore cinematografico e di sua moglie, la giovane attrice Jessica Patterson, nota soprattutto per una sdolcinata soap opera, ma che fa colpo su Tony per ben altri motivi. 

Gli spettatori che hanno familiarità con il primo capitolo si ritroveranno presto a sperimentare sulla pelle una sensazione nostalgica. I capitoli della saga tuttora rilasciati sono interamente frutto del girato di quasi dieci anni fa, per cui i personaggi sono gli stessi che conosciamo, immuni all’erosione del tempo. Tuttavia, il viaggio temporale a cui siamo sottoposti risulta non calibrato alla perfezione, collocandoci in un momento in cui gli avvenimenti si sono verificati durante la nostra assenza. L’equivalente cinematografico di un sogno interrotto, che il nostro subconscio ci ha concesso di proseguire diversi anni più tardi. 

Davanti ai nostri occhi c’è ancora una volta Amin, eterno ventenne che si districa tra le tentazioni e gli ostacoli che la vita mediterranea pone sul suo cammino, tra le aspettative dell’allargato nucleo familiare in cui è devotamente inserito, e le attenzioni delle ragazze che in lui vedono un’allettante prospettiva di sicurezza futura, ma che intanto non rinunciano a divertirsi con gli altri personaggi maschili che gravitano loro attorno.

Amin, protagonista feticcio di Abdellatif Kechiche

Amin è la lente attraverso cui osserviamo questa moltitudine di personaggi irrequieti, che popolano gli ambienti ricorrenti del film: la spiaggia, il ristorante di famiglia, il bar dove la sera si ritrovano tutti a divertirsi, la fattoria di Ophelie. Ogni scenario si fa sfondo di dense conversazioni intime che sembrano sempre in procinto di virare sul lato fisico, ma che proseguono in scioltezza, sul filo di una tensione erotica destinata a restare irrisolta, grazie all’ intesa che gli attori hanno sviluppato su un set pensato all’occorrenza per intensificarla. 

Un personaggio che racchiude in sé tutte le riflessioni che Abdellatif Kechiche ha elaborato sul cinema nel corso dei suoi ultimi travagliati anni, e attraverso il quale riflette su cosa significhi davvero essere dei registi. Nel processo traspare anche una strana insicurezza morale che verrebbe da ricondurre direttamente a lui, più che all’inesperienza di vita di Amin. Questo nucleo è da ricercare nella conversazione che Amin intrattiene con Jessica nella piscina della villa, dove ci appare come un personaggio fin troppo passivo, quasi frustrante nel suo assorbire fiumi di parole che dirette a un personaggio meno accondiscendente e taciturno scatenerebbero degli accesi botta e risposta.

Per gentile concessione di ©Locarno Film Festival

È davvero la fine?

Se la natura errante e non conclusiva del Canto Uno si scusa facilmente pensando a quello che potrebbe arrivare in futuro, lo stesso non può più dirsi di questo Canto Due, il cui finale ha lasciato tutti spiazzati introducendo elementi estranei alle atmosfere pacate del resto della saga, che portano con sé la prospettiva disillusa di altri capitoli. Ma al di là dell’irresolutezza di un capitolo che prometteva di mettere il punto su queste vicende, che a conti fatti sono invece più aperte che mai, potrebbe essere questo il destino pensato fin dall’inizio per Mektoub (titolo che ironicamente significa proprio destino): rimanere la conclusione imperfetta di una trilogia che, nel bene e nel male, ha fatto parlare di sé.

Una cosa è certa. Assistere a quello che potrebbe essere l’ultimo barlume artistico di un colosso come Kechiche mette un po’ di pelle d’oca. Il regista ha recentemente subito un ictus, e qualunque siano le sue ultime volontà cinematografiche, non c’è certezza che potrà realizzarle. Proprio a causa di questo incidente, che lo ha lasciato lucido ma impossibilitato a verbalizzare correttamente, non ha presenziato alla conferenza stampa del film.

La decisione di presentarlo nel panorama di nicchia di Locarno, lontano dai riflettori di Cannes e Venezia, è la scelta migliore per lasciare a questa saga il tempo di guarire le ferite accumulate nel tempo, protetta dagli agguati feroci della stampa. La speranza è che Mektoub, My Love: Canto Due possa godere di una distribuzione, e un eventuale Pardo d’Oro potrebbe essere il primo importantissimo passo verso questa direzione. Siamo tutti nelle mani di Rithy Pahn, presidente della giuria di questa edizione, pienamente consapevoli che il film sarebbe degno di questo onore.

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