Nel 1984, Footloose di Herbert Ross esplose nei cinema come un fulmine pop rock in un cielo conservatore. A quarant’anni dalla sua uscita il film continua a far ballare e a sollevare interrogativi – non solo sui rapporti generazionali, ma anche sul valore del suo stesso mito. Accolto con freddezza dalla critica, fu un enorme successo al botteghino. A rivederlo oggi, qualcosa salta fuori: c’è ben più di una colonna sonora irresistibile e di Kevin Bacon che si scatena nei silenzi della provincia americana.
Footloose. Una leggenda del ballo
Ren McCormack (Kevin Bacon), adolescente di Chicago con lo stereo sempre acceso, si trasferisce con la madre nella sonnolenta cittadina di Bomont. Qui, musica rock e ballo sono vietati a seguito di una tragedia: cinque ragazzi, tra cui il figlio del reverendo Shaw Moore (John Lithgow), sono morti in un incidente stradale tornando da un concerto.
Ren, outsider per definizione, diventa subito il catalizzatore di una rivoluzione silenziosa, contrastata in ogni modo. La sua voglia di libertà lo porta a scontrarsi con l’autorità cittadina (il reverendo), con i bulli locali e con le regole non scritte della comunità. In suo aiuto arriva Ariel (Lori Singer), figlia ribelle del pastore e figura chiave per innescare un confronto generazionale fatto di citazioni bibliche, balli clandestini e trattori a tutta velocità.
Un cinema anni ’80 che guarda agli anni ’50

Il film si muove lungo l’asse nostalgico che collega il cinema giovanile anni ’80 alla ribellione anni ’50. Lo dimostra la corsa tra trattori (eco della “corsa del coniglio” di Gioventù bruciata), o la sfida automobilistica che Ariel ingaggia, rischiando la pelle per una causa molto personale.
La costruzione di Ren come eroe richiama il tipico immaginario americano dell’adolescente giusto nel posto sbagliato. Non è un Karate Kid, ma un giovane che ascolta i Quiet Riot e legge Mattatoio n. 5. Il maggiolino giallo, la cravatta fuori posto e lo sguardo sfacciato lo rendono un supereroe del ballo, ben prima che James Gunn lo celebrasse con Star-Lord nei Guardiani della Galassia (2014).
Footloose. Musica, ribellione e… moralismo
Footloose è un film stratificato, in parte musicale ma mai davvero musical. Alterna videoclip pieni di energia (l’iconica scena del ballo solitario nel magazzino) a momenti drammatici, a tratti mélo. La colonna sonora è uno degli elementi più forti e identificativi: Footloose di Kenny Loggins, Almost Paradise, Let’s Hear It for the Boy e soprattutto Holding Out for a Hero di Bonnie Tyler.
La musica diventa metafora di libertà negata. Come i libri in Fahrenheit 451, anche qui il proibizionismo si abbatte sui dischi e sui romanzi “immorali”, in una scena in cui i cittadini bruciano testi scolastici accusati di corrompere la gioventù. L’alternativa è una festa in un capannone, tra mosse scatenate e libertà improvvisate.
Un film che racconta gli adulti
Nonostante la sua patina da teen movie, Footloose si rivela, con lo sguardo di oggi, più un film sugli adulti che sui ragazzi. È la parabola di un reverendo in lutto che, nel corso della storia, è l’unico personaggio a cambiare veramente. Shaw Moore, interpretato da un superbo John Lithgow, è colui che rinuncia alla propria arroganza per restituire ai giovani la libertà. È lui che assume i caratteri da protagonista del film, non Ren.
Gli adolescenti, invece, sembrano pensati da una figura austera, come il preside di Breakfast Club, più che da un osservatore sincero della gioventù: Ariel la principessa ribelle, Willard lo scemo del villaggio, Chuck il bullo con la camicia a quadri. Sono cliché che esistono solo in funzione della tematica della ribellione, invece di essere personaggi a tutto tondo.
Una distopia grottesca mascherata da teen drama

Il mondo di Footloose è assurdo e distopico: il ballo è vietato ma tutti ne parlano; i ragazzi sfidano la morte per non annoiarsi; il romanticismo nasce tra pugni, citazioni bibliche e gare con i trattori. È un universo dove le passioni giovanili devono passare attraverso i codici morali degli adulti per essere legittimate. Ren vince solo quando cita le Scritture, quando si presenta al consiglio cittadino, quando si conforma al linguaggio del potere.
La ribellione qui è paradossale: non viene realmente accettata, ma solo tollerata dopo un lungo percorso di “domesticazione”. Il lieto fine non è un’apertura al dialogo, ma una tregua. La cittadina resta grottescamente conservatrice. È questo il colpo di genio di Footloose: essere, sotto il trucco da musical anni ’80, un film amaro.
Cosa resta di Footloose?
In un’epoca in cui il cinema giovanile veniva riscritto da John Hughes, Footloose appare come l’ultimo ruggito della vecchia scuola hollywoodiana. Eppure, c’è ancora spazio per lui nella memoria collettiva. Perché Ren McCormack è rimasto un simbolo, e la sua danza solitaria in un magazzino vuoto è una delle immagini più potenti degli anni ’80.
Tra le sue imperfezioni, Footloose resiste. Non solo per la colonna sonora o per Kevin Bacon, ma perché racconta – anche involontariamente – l’incapacità delle generazioni di parlarsi davvero. Una fiaba moralista in cui l’unico a crescere è l’adulto. Un musical che non è un musical, un dramma che non sa essere leggero. Ma anche questo è il fascino di certe leggende.