Presentato in anteprima al Bif&st 2025 e adesso al Saturnia Film Festival, dal 31 luglio arriva nei cinema italiani Afrodite, il nuovo film di Stefano Lorenzi, una coinvolgente storia al femminile ambientata in una Sicilia selvaggia e misteriosa degli anni 90. La storia è interpretata da Ambra Angiolini, Giulia Michelini, Gaetano Bruno, Francesco La Mantia. Il film, una produzione Dakota Film Lab con Rai Cinema, in produzione associata con Greenboo Production, è distribuito da Altre Storie.
In occasione della presentazione al Saturnia Film Festival abbiamo fatto alcune domande al regista Stefano Lorenzi.
Stefano Lorenzi e il suo Afrodite
Il film è tratto da fatti realmente accaduti. Come sei entrato in contatto con questa storia?
Prima di Afrodite ho realizzato un documentario per la Rai e ho scritto e ideato una serie Mediaset, L’Ora – Inchiostro contro piombo, che è incentrata sull’omonimo giornale storico di Palermo che, dopo la seconda guerra mondiale, ha iniziato a inserire nome e cognome dei mafiosi in prima pagina. Chiaramente mettendo nome e cognome arrivava subito l’attentato e infatti ci sono stati morti (sono stati uccisi tre giornalisti dalla mafia). Si può ben capire che è stato un giornale molto importante. Per questo ho scritto questa serie, per la quale è stato scelto Claudio Santamaria come protagonista, e l’ho girata insieme a un altro regista, Piero Messina.
Durante le riprese della serie ho fatto delle ricerche e ho trovato un articolo che parlava del fatto che le strade di Falcone, Borsellino, ma anche Via dei Georgofili e tutte quelle coinvolte negli attentati dell’inizio degli anni ‘90 avevano tutti una stessa matrice di tritolo. Ma non si capiva dove la mafia l’avesse trovato. Poi scoprirono che due pescatori andavano a recuperare il tritolo in una nave sommersa della seconda guerra mondiale perché il tritolo si mantiene bene in acqua e, se non detonato, rimane stabile per decine e decine di anni (infatti tutt’ora c’è questa nave che è stata cementificata e che si trova vicino allo stretto di Messina, più nella zona calabrese). Questa è stata una sorta di scintilla e, dopo aver letto questo articoletto, ho deciso di raccontarne la storia, ma al femminile.

Poi ho sempre avuto questo pallino del racconto al femminile. Ho lavorato 10 anni come assistente per Virzì e abbiamo spesso discusso di questa cosa, tanto che poi ha iniziato a scrivere storie anche al femminile. Piano piano ho capito che il mondo stava cambiando. Questa storia è nata circa 6/7 anni fa e solo adesso ha avuto la possibilità di venire alla luce perché comunque sono cambiate tante cose negli ultimi anni.
Uno sguardo al femminile
Questa cosa dello sguardo al femminile l’ho notata anche io e ho letto che in diversi ti hanno attribuito questa connotazione.
Sono cresciuto in una famiglia di donne e ho un lato femminile, nel senso di una mia sensibilità che sento totalmente mia e che mi contraddistingue.
Infatti Afrodite è un film delicato anche come storia perché sei riuscito ad amalgamare bene la realtà con la finzione e nella finzione, a proposito di questo femminile, vanno in parallelo due filoni entrambi al femminile: la storia delle due protagoniste, ma anche della Sicilia stessa e di tutto quello che le circonda.
Sì, il paesaggio, per me, era un paesaggio interiore. Siamo nel posto più arido che c’è, dove l’acqua evapora e rimane il sale, quindi mi sembrava anche un luogo giusto per fare da contraltare alle profondità del mare, che invece racchiude un aspetto più intimo, interiore e che corrisponde a una parte più inconscia, più sconosciuta, più impenetrabile di noi stessi. Non a caso le cose più importanti per le due donne accadono lì: il salvataggio, il primo bacio. Tutto accade sott’acqua perché accade nella parte inconscia.
Poi devo dire che tutti e tre i personaggi sono prigionieri, perché anche lo stesso Rocco è prigioniero di quel mondo violento della mafia, di quel pensiero. La differenza tra lui e le ragazze è che lui non esce, non si libera perché non ha amore, lui ha perso l’amore, è diventato un mostro, un pazzo. E proprio perché lui ha perso l’amore era necessario che da questo film tirassi fuori una storia d’amore. Non potevano essere amiche. Perché tritolo ed elementi esplosivi sono caratteristiche dell’amore. A questa cosa ci ho pensato tante volte perché non è che avessi il desiderio di dover fare a tutti i costi una storia d’amore. Solo che non inserendola mi sembrava di togliere qualcosa perché quella forza passionale, quel racconto così profondo è un racconto più d’amore che d’amicizia, per quanto poi l’amicizia sia comunque un sentimento importante.

E poi c’è la Sicilia che io l’ho sempre definita, soprattutto nel contesto di questo film, come una bella donna violentata. Anche il racconto femminile è un racconto di riscatto perché la Sicilia è una terra stupenda, una ricchezza infinita che ha il mare, ha tutto, ma non è florida. Ha tutto quello che vuoi, ma è limitata dalla violenza della mafia, dal pensiero della violenza della mafia.
E comunque il femminile è presente ovunque, basti pensate alle attrici, due donne protagoniste, la nave che comunque ha un nome femminile e poi la Sicilia che per me è una donna. Siamo di fronte a un fil rouge che unisce la storia con questi tre aspetti di un racconto al femminile.
E scegliere di virare sulla storia d’amore credo sia stata la strada giusta.
Ed è una storia nata in tempi non sospetti. Si è evoluta adesso perché per un certo periodo andavano di moda queste storie ed è anche giusto perché è stato un momento anche di liberazione, di racconto di certi argomenti, che per fortuna c’è stato e dovrebbe continuare a esserci… E poi mi piaceva questa cosa, anche se a volte mi hanno rimproverato che non aveva un genere preciso.
Non un solo genere
Hai anticipato la mia domanda perché ti avrei chiesto proprio di questo. Anche io non saprei come collocarlo perché è tante cose insieme, dal thriller alla storia d’amore passando per altri generi. Ma il tutto in positivo.
Esatto. Io volevo proprio questa cosa perché non è un thriller puro, non è un romance puro, anche se l’hanno definito un thriller romance, un thriller sentimentale. Poi c’è chi ci ha visto un po’ di Thelma & Louise perché c’è una coppia femminile che in qualche modo si libera da un patriarcato, dalla mafia in questo caso.
Questo fatto di non riuscire a collocarlo mi ha creato difficoltà all’inizio. Per esempio un distributore importante con cui ho parlato e che era interessato ha avuto timore perché non riusciva a inquadrarlo commercialmente in un genere. Ma la bellezza del film è quella. Anche se alla fine fare questo è stato più difficile perché girarlo e tenere insieme più generi non è facile dovendo stare attento a molti aspetti. Per esempio per il personaggio di Rocco ho lavorato con grande attenzione per non rendere lo stereotipo del mafioso. Il mio intento era raccontare una storia d’amore universale, non volevo raccontare una storia con una retorica per una comunità specifica; volevo raccontare una storia d’amore. Se prendi le due protagoniste e ci metti un uomo e una donna, due uomini o due donne, il film sta in piedi uguale.

Stefano Lorenzi e l’acqua
Infatti secondo me funziona proprio per questo. E visto che abbiamo parlato di tanti generi, a tratti si può definire anche quasi un documentario, soprattutto in certe occasioni, come le parti subacquee. E a proposito di questo ti volevo chiedere com’è stato girare quelle scene. So che le attrici hanno anche preso il brevetto…
Bisogna premettere che il film è stato molto difficile in generale perché quando si realizza un film ambientato in mare è vero che c’è una parte subacquea, ma c’è anche una parte sopra l’acqua che è sempre difficile allo stesso modo.
Loro hanno preso il brevetto, Giulia Michelini si è anche ammalata. E non è stato semplice perché girare su attacco non è solo girare, ma è anche un lavoro enorme a livello psicologico. Ambra Angiolini per esempio non si voleva immergere, poi abbiamo parlato e ha deciso di fare una prova. Subito dopo mi ha detto che era stata la cosa più bella che aveva fatto nella sua vita.
Anche io quando ho iniziato a scrivere il film ho preso il brevetto. È una cosa che mi era sempre piaciuta, ma non l’avevo mai fatta. Avevo fatto una volta un battesimo dell’acqua e mi è servito a capire la frase che apre e chiude e che è nata dopo. Quando sei sul set ci sono spesso problemi di qualsiasi genere perché è la quotidianità del set. E in quei momenti l’operatore mi guardava e mi diceva Stefano vieni sott’acqua perché sott’acqua siamo in pace, non c’è nessuno che parla, nessuno ti dà fastidio. E infatti quando vedevo che c’erano problemi mi tuffavo e sotto spariva tutto.
La frase di Ambra è nata così, un po’ come quella sensazione che provavo io.

Che poi si capisce subito che Il mare è la mia prigione non potrà essere vero. Il mare è l’elemento in cui lei è sé stessa, rappresenta la sua libertà massima.
Esattamente. Mi piace sottolineare a tal proposito che con Ambra abbiamo lavorato molto in sottrazione perché il suo personaggio viene da un momento difficile e duro: ha perso il compagno, è prigioniera e poi è anche per cercare di portarla in un mondo diverso rispetto a quello di Giulia, nel quale lei è più un animaletto che cammina scalza, riccioluta, ingenua.
Un film sensoriale
Approfitto di quello che hai detto in merito al lavoro in sottrazione per fare una riflessione. Perché secondo me ci sono due elementi fondamentali in Afrodite che contribuiscono a questa cosa. Uno è l’acqua che è praticamente l’altra protagonista dal momento che occupa gran parte del minutaggio del film.
Sono 35 minuti di montato sull’acqua e in Italia nessun film è mai stato girato così. Poi non ci sono effetti speciali, il film è come si vede. Nell’epoca dell’I.A. e degli effetti speciali noi abbiamo fatto un film come si faceva 50 anni fa.
Ma c’è un altro elemento che, secondo me, insieme all’acqua, mi fa quasi dire che Afrodite può essere, più che un film quasi un’esperienza sensoriale, ed è il silenzio. Perché c’è tanto silenzio nel film e lei lavora in sottrazione non a caso, non ha bisogno neanche di parlare perché si capisce quello che vuole dirci e le due protagoniste non comunicano molto a parole.
Questa cosa che mi dici mi piace molto perché io ho lavorato molto su questo tema. Era una sfida. Mi dicevano tutti che 35 minuti sott’acqua avrebbero annoiato, che le attrici non si sarebbero riconosciute, che avrei dovuto usare le controfigure…
Invece così non è stato e devo dire che le attrici sono state brave perché non era una sfida semplice. Ho considerato quel silenzio e quel mare un po’ come il bisogno di scavare dentro di noi. Quella stiva è la parte più inconscia di noi e loro sono insieme l’esplosivo e il detonatore. Quando si mettono insieme creano quell’esplosione che poi è anche fisica. E Rocco involontariamente lo anticipa all’inizio. Ludovica troverà il detonatore che è Sabrina, ed ecco perché deve essere una storia d’amore.
Sono molto felice che hai apprezzato questa cosa del silenzio perché è un film strano che ha una sua lentezza però ha ritmo. Ed è una lentezza che noi non abbiamo più, oggi siamo abituati al telefonino, a cambiare canale, a guardare la serie velocizzate…
È vero. Afrodite non annoia, ma coinvolge e fa riflettere proprio sull’importanza del tempo e sul fermarsi.
Io volevo fare questo e se ci sono riuscito ne sono felicissimo. Poi il film per me, come per tutti i registi nei confronti delle loro creature, è imperfetto, ma è un film piccolo. Nella sua imperfezione, però, ha comunque una sua quadra, una sua verità.
Il viaggio di Afrodite
E a proposito del viaggio del film? È stato a Bari, adesso a Saturnia, in alcune sale…
Sì, il percorso di Afrodite continua. Al mio fianco ho avuto due attrici popolari e questo è stato un boomerang. Uscirà poi su piattaforma, ma è un film che prima di tutto deve andare al cinema.
Anche perché, come dicevamo, è una vera e propria esperienza sensoriale che in sala è da vivere completamente.
Esatto. Pensa che in una delle occasioni in cui lo abbiamo presentato una signora, al termine, mi ha detto che in dei momenti le sembrava di essere sott’acqua. E anche i subacquei esperti che lo hanno visto hanno detto che ha restituito le sensazioni reali dell’essere sott’acqua. Poi ovviamente in alcuni momenti ho dovuto variare i respiri per farne un uso artistico.
Comunque il film prosegue il suo percorso, tra sala e festival.
Sono Veronica e qui puoi trovare altri miei articoli