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Saturnia Film Festival

‘The Boy with White Skin’ – il lavoro nelle miniere d’oro raccontato da Simon Panay

Una discesa negli inferi delle miniere d'oro in Burkina Faso e lo sguardo su un rituale nascosto.

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Un viaggio sotto un leggero telo rosso apre The Boy with White Skin (2024), terzo lavoro del francese Simon Panay dedicato allo sfruttamento dei lavoratori nelle miniere d’oro dell’Africa occidentale. Dopo il successo dei suoi documentari, il regista si confronta per la prima volta con una narrazione di finzione che mescola realtà e mito per restituire la forza di un rituale antico e segreto. In concorso al Saturnia Film Festival.

Una storia cresciuta nel tempo

Figlio di viticoltori, Panay si avvicina giovanissimo al cinema indipendente. A soli diciotto anni è nominato Young Talent of the Year 2014 all’ARP, sotto la guida del regista Gérard Krawczyk. Fondamentale l’incontro con il documentarista burkinabè Souleymane Drabo che segna l’inizio del suo impegno in Africa, in particolare in Burkina Faso, dove sviluppa progressivamente una propria cifra espressiva legata al documentario di impegno sociale.

Nel 2016, con Nobody Dies Here, Panay esplora il mondo dell’estrazione artigianale e illegale dell’oro nel Benin, ricevendo un’eccezionale accoglienza internazionale: il film è proiettato in 71 paesi e riceve 134 premi: un esordio potente. Le riprese durano solo otto giorni prima che la troupe venga arrestata e imprigionata, con parte del materiale distrutto dalle autorità. Così afferma il regista:

“Sono rimasto colpito dalle credenze locali, dall’uso dei bambini nei tunnel (…) Quel progetto mi ha segnato e mi ha portato a lavorare in questo mondo per dieci anni.”

La leggenda dell’oro: tra mito e realtà 

Il punto culminante di questo percorso è  If You Are a Man (2023), primo lungometraggio di Panay, girato in due anni di immersione totale all’interno di una miniera d’oro in Burkina Faso. Uscito nelle sale francesi, il film ottiene consensi unanimi per la sua intensità emotiva e il suo crudo realismo.

Nel corso di quelle riprese, il cineasta francese è testimone di un’usanza che lo avrebbe ossessionato: l’impiego di bambini albini mandati sottoterra a cantare come forma di buon auspicio per attirare l’oro. Non avendo il permesso di filmare il rituale – i minatori temevano che le telecamere potessero spezzarne l’incantesimo – Panay capisce che avrebbe dovuto raccontare quella storia in un altro modo. Da qui nasce The Boy with White Skin, che unisce elementi reali e simbolici appartenenti a una cultura lontana, rimasta ancorata ad antiche credenze.

“Per i minatori l’oro è come una creatura mitologica (…) Una bestia che va cacciata, seguita, affrontata in un duello mortale prima di essere conquistata. Volevo che lo spettatore sentisse questa presenza, che l’oro avesse una voce, un respiro.”

Il cortometraggio narra la vicenda di un bambino albino affidato dal padre a un gruppo di cercatori d’oro, diventando il simbolo di tutte le loro speranze. La camera trascina lo spettatore in ogni minimo movimento del bambino, verso quella che sembrerebbe una lenta e buia discesa negli inferi, assumendo fin da subito dimensioni claustrofobiche. Grazie alla musica la narrazione riesce a evocare una dimensione spirituale, quasi ancestrale, tanto da richiamare il mito di Orfeo ed Euridice o il viaggio nell’inferno dantesco.

Un film tra misticismo e denuncia

La cultura di quell’area del mondo vede i bambini albini come semidei, esseri dotati di poteri spirituali, capaci di attirare l’oro cantando nel buio della terra. Panay racconta la difficoltà di realizzare il progetto e trovare l’attore protagonista. Durante i periodi elettorali infatti avvengono rapimenti e riti sacrificali di bambini albini, considerati portatori di fortuna per i candidati politici.  Tutti i genitori di conseguenza diventano molto protettivi nei confronti dei propri figli.

Per ragioni di sicurezza, le scene nei tunnel sono quindi state ricostruite in set artificiali sull’isola di Gorée, nella baia di Dakar.

“Le vere miniere arrivano a oltre 100 metri di profondità. Sarebbe stato troppo pericoloso portare lì l’intera troupe. Abbiamo ricreato tutto nei minimi dettagli, con attenzione a dare allo spazio una dimensione mitologica, far sembrare l’oro un’entità viva.”

Nel film, le canzoni non sono semplici elementi di atmosfera. Scritte appositamente per il copione, rispecchiano rituali magici, memorie primigenie e tradizioni orali, con lo stesso valore che assumono nei matrimoni tradizionali: forma di trasmissione e di rituale collettivo.

Un cinema che scava, dentro e fuori la terra

Con The Boy with White Skin, Simon Panay esplora l’universo delle miniere d’oro non solo come luoghi di sfruttamento, ma anche come spazi simbolici, in cui la realtà si fonde con la leggenda.

Un cinema che indaga la dimensione sacra e crudele del lavoro, e che, come l’oro stesso, va indagato sottoterra, scavando nella profondità delle storie dimenticate.

The Boy with white skin

  • Anno: 2024
  • Durata: 14’
  • Distribuzione: Manifest Pictures
  • Genere: Cortometraggio drammatico
  • Nazionalita: Francia, Senegal
  • Regia: Simon Panay
  • Data di uscita: 10-August-2024