Da anni la Settimana Internazionale della Critica (SIC), sezione autonoma e parallela organizzata dal Sindacato Nazionale Critici Cinematografici Italiani nell’ambito della Mostra del Cinema di Venezia, rappresenta uno dei laboratori più quotati per l’individuazione di nuovi talenti. Sette opere prime in concorso, tre eventi speciali fuori concorso, e uno sguardo sempre attento alle voci emergenti: questa è la cifra di una sezione che negli anni ha contribuito a lanciare registi come Bryan Singer, Harmony Korine, Roberta Torre e Matteo Oleotto.
Beatrice Fiorentino, Delegata Generale della SIC, giornalista e critica cinematografica, ci ha parlato della 40ª edizione e di come il cinema contemporaneo stia evolvendo in un momento storico in cui la sfida della sperimentazione si confronta con le logiche di mercato e tante convinzioni sono sul punto di essere scardinate.
40ª Settimana Internazionale della Critica e 10ª SIC@SIC, numeri importanti, simboli di una lunga storia. Tuttavia, questa edizione sembra guardare al futuro piuttosto che celebrare il passato. Come sarà questa edizione? E come è cambiato il cinema che proponete negli ultimi anni?
Questo anniversario non è stato per me un’occasione di rimpianto o nostalgia. Non è nello spirito della SIC guardarsi indietro e dire “Ah, com’era bello allora”. Ho invece ripercorso questi quattro decenni con affetto e orgoglio, per il privilegio di farne parte e di poter scrivere nuove pagine di questa storia. Mi commuove profondamente l’idea di continuare un percorso così significativo e di portarlo verso nuove direzioni.
Rileggendo le dichiarazioni di Giorgio Tinazzi, il primo delegato generale della SIC, colpisce quanto fosse moderna la sua visione: la SIC come sprone interno alla Mostra del Cinema di Venezia, spinta culturale e provocatrice di dibattiti. Questi principi di ricerca artistica e di confronto ideologico sono ancora vivi e fondamentali. Tutti, me compresa, ci siamo adeguati ai tempi, ma senza tradire il DNA della SIC. C’è stato sicuramente un lavoro per ripensare la comunicazione e il linguaggio con cui ci rivolgiamo al pubblico, perché oggi è sempre più importante dialogare con le nuove generazioni. Lavoriamo con opere prime e con autori esordienti, quindi il nostro cinema per statuto è rivolto al futuro. E il futuro appartiene ai giovani: è naturale che sia a loro che dobbiamo parlare.
Dando un’occhiata ai titoli di quest’anno, emerge un cinema di ribellione, di rottura, sia nei temi che nella forma. Quali anticipazioni puoi darci sui film in concorso e sui grandi temi di questa edizione?
La selezione di quest’anno è effettivamente segnata da una grande energia. Se parliamo di innovazione linguistica, vorrei sottolineare Agon di Giulio Bertelli e Waking Hours, due opere italiane che rappresentano perfettamente il cinema del presente. Bertelli, per esempio, smonta e ricompone i generi cinematografici con una forza sorprendente. Agon è ambientato in una sorta di Olimpiade distopica senza pubblico, uno spazio sospeso tra reale e virtuale. Il film riflette sui corpi, sulla competizione, sulla fragilità e la violenza insita nello sport, portando avanti un discorso teorico ma estremamente attuale. Si muove con libertà attraverso i generi: sembra iniziare come un documentario, diventa un film sportivo, poi vira verso il cinema processuale e infine approda a un’estetica che mi piace definire post-umana.

‘Agon’ di Giulio Bertelli in concorso alla 40. SIC 2025
Waking Hours, invece, affronta il tema dell’immigrazione ma lo trascende per diventare un discorso metafisico sul confine, sul limbo, sul non-luogo. Anche se è ambientato tra Serbia e Ungheria, la sua forza sta nel rendere universale la condizione di sospensione e attesa. Il tempo e lo spazio sono dilatati, portando lo spettatore in una dimensione che è ovunque e in nessun posto. È un cinema che richiede attenzione e che premia chi si lascia trasportare.
Perché avete scelto ‘Stereo Girls’ di Caroline Deruas Peano come film d’apertura? In cosa è speciale?
I film di apertura e chiusura devono essere coerenti con la selezione ma anche accoglienti. Stereo Girls è una commedia solo in apparenza leggera: ha lati oscuri, ma è un racconto di formazione ambientato negli anni ’90, con due ragazze che credono in un sogno. Dopo l’atmosfera tempestosa dello scorso anno, volevamo abbracciare storie di giovani che pretendono uno spazio nel mondo. C’è anche un discorso sulla materia filmica, con sequenze in pellicola e altre digitali. Ci è sembrato perfetto per aprire questa edizione.
Negli ultimi anni, molti festival puntano su registe donne con idee coraggiose. Credi che questo porterà a una reale parità di opportunità anche a livello produttivo?
La strada è ancora lunga. Ci sono resistenze difficili da sradicare. Quando sono stata nominata direttrice, mi infastidiva che molti sottolineassero il fatto che fossi la “prima donna” in quel ruolo, come se fosse la mia unica qualità. Mi sono resa conto che persino colleghi e amici faticavano a usare la parola “direttrice”. C’è ancora un retaggio culturale da superare. Tuttavia, il sistema sta reagendo: festival e produttori stanno cercando di garantire pari diritti, anche quello di sbagliare. Le registe non devono essere considerate solo se eccellenti, devono avere la stessa libertà e possibilità degli uomini.

‘Stereo Girls’ apre la 40. SIC 2025
Quest’anno avete selezionato ‘Waking Hours’, un documentario che affronta un tema sempre attuale come l’immigrazione tramite una visione artistica unica e potentissima. Quanto conta l’urgenza nel cinema di oggi?
Credo che l’urgenza sia un motore fondamentale per il cinema contemporaneo. In un mondo in cui le immagini scorrono velocissime sui social, il cinema ha ancora la forza di fermare il tempo e proporre una riflessione più profonda. “Waking Hours” è un esempio di come un linguaggio visivo chiaro e potente possa veicolare un concetto maledettamente urgente, in grado di colpire lo spettatore non solo con la mente ma anche con il cuore. E credo che, per chi racconta il presente, questa capacità di suscitare empatia sia cruciale.
In questo processo, quanto è fondamentale avvicinare le nuove generazioni – da sempre il pubblico principale della SIC – a un tipo di cinema d’autore e con un valore?
È fondamentale. Oggi, i contenuti audiovisivi di consumo arrivano in maniera prepotente su ogni dispositivo. Proporre un cinema alternativo, che scuote e sorprende, è un atto di resistenza culturale e politica. Il cinema resta un’arte meravigliosa: scegliere film capaci di provocare piacere estetico e intellettuale è la chiave per sedurre anche le nuove generazioni. Non vogliamo che il cinema, l’occhio del Novecento, si spenga con il nuovo millennio. Vogliamo che si rinnovi e che continui a stupire.
Hai parlato più volte di “resistenza culturale”. Che ruolo ha la Settimana Internazionale della Critica in questo contesto?
La SIC ha sempre avuto un ruolo di avamposto. Essere un laboratorio di scoperta, di ricerca, significa anche assumersi dei rischi. Ma il rischio è necessario se vogliamo stimolare il dibattito e intercettare i cambiamenti della società. Siamo in un’epoca di grandi trasformazioni, anche tecnologiche, che impattano sulla produzione e sulla fruizione del cinema. Credo che il nostro compito sia quello di ascoltare questi cambiamenti e offrire un programma che rifletta le tensioni, le contraddizioni e le speranze del presente.
Cosa sperate che resti al pubblico di questa edizione?
Spero che resti una sensazione di sorpresa, di apertura. Che i giovani spettatori in particolare trovino qui un cinema che li interroga e li rappresenta. Voglio che la SIC sia uno spazio di libertà, in cui si possa immaginare un futuro diverso, anche solo per la durata di un film. Perché il cinema, in fondo, ha sempre avuto questa capacità: quella di farci sognare e pensare insieme.
La Settimana Internazionale della Critica si conferma dunque uno spazio di scoperta e confronto, capace di rinnovarsi a ogni edizione e di anticipare le tendenze di un cinema che non smette di interrogarsi sul presente, offrendo ai cinefili e alle nuove generazioni una preziosa bussola per orientarsi nel panorama complesso e affascinante della settima arte.L’appuntamento è al Lido per lasciarsi catturare dalle storie, dalle visioni e dalle opere prime in concorso: un’occasione per scoprire il cinema di domani attraverso lo sguardo di nuovi, entusiasmanti, autori.
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