Che fine ha fatto il cinema nigeriano? Come fa un film romantico low budget a totalizzare 16 milioni di visualizzazioni in due settimane? E cosa significa quando un’intera industria, la seconda al mondo per volumi, inizia a scegliere YouTube come piattaforma principale di distribuzione? Oggi ci spostiamo a Nollywood, dove i paradigmi stanno cambiando. Dove a cambiare non sono solo le storie, ma anche le regole del gioco.
La nuova era del cinema africano passa per YouTube
In questo universo, c’è un prima e un dopo. Il prima: Netflix, Prime Video, Showmax. Il dopo: YouTube. Ma a segnare questo passaggio ci sono stati molteplici eventi ed uno di questi è l’uscita di Love in Every Word sul canale Omoni Oboli TV, lo scorso 7 marzo 2025. In sole 24 ore un milione di visualizzazioni e dopo due settimane ben 16.031.122.
Scritto da Mfon-Abasi Michael Inyang e diretto da Stanley Obi, Love in Every Word è una romcom che, a dispetto della semplicità narrativa, ha scatenato un terremoto nella scena audiovisiva nigeriana. Perché? È riuscita a dimostrare una cosa semplice e rivoluzionaria: che il pubblico c’è, è vivo, ed è pronto a guardare anche quando le grandi piattaforme si tirano indietro. In un’intervista, Omoni Oboli, produttrice e regista, ha dichiarato:
“Non avrei mai pensato che un film su un canale YouTube potesse rompere così tanto gli schemi. Dio ha un modo tutto suo di usare le cose più folli per confondere i saggi.”

Perché YouTube? Perché ora?
La risposta breve? I soldi non girano più come prima. Dal gennaio 2024, Amazon Prime ha tagliato il suo team africano, Netflix ha ridotto drasticamente gli original, ed i cinema in Nigeria sono appena 102 per oltre 200 milioni di abitanti. Troppo pochi, troppo cari. Secondo il report di Film One, molti schermi restano vuoti per la crisi economica in corso.
Ma c’è anche una versione più estesa del problema che ha a che fare con il controllo creativo, l’accessibilità mobile e la voglia di raccontare storie senza aspettare i tempi lunghi delle piattaforme. Lo ha spiegato bene Ruth Kadiri, attrice e regista che ha scelto YouTube per distribuire i suoi film:
“Ero stufa delle troppe regole. Volevo un posto dove esprimermi liberamente. YouTube è quello spazio.”
Youtube. La rivoluzione femminile dietro la camera
E a guidare questo cambiamento sono, sempre più spesso, le donne. Non solo Omoni Oboli e Ruth Kadiri ma anche Nora Awolowo, di 26 anni, che ha raccolto diversi fondi da investitori indipendenti per portare il suo primo lungometraggio Red Circle nei cinema.
“Il mio obiettivo è uno solo: riconnettermi con il pubblico offrendo qualità”
ha affermato.
E la qualità, spesso, passa da budget ridotti ma grande inventiva. Come? Affittando un Airbnb per girare più film in una settimana, cambiando solo gli abiti degli attori. Montaggi rapidi, promozione tramite TikTok ed infine monetizzazione tramite AdSense e Super Thanks.
È un ecosistema dove tutti fanno tutto e dove è il pubblico stesso a decidere chi premiare.

YouTube è davvero la salvezza di Nollywood?
Facciamo un passo indietro. Se da un lato YouTube rappresenta un’enorme opportunità, dall’altro presenta dei limiti strutturali non trascurabili.
- Monetizzazione ridotta
Il primo problema è evidente: i ricavi sono bassi. In Nigeria, il CPM (costo per mille visualizzazioni) su YouTube è molto più basso rispetto all’Europa o agli Stati Uniti. Tradotto: 16 milioni di visualizzazioni non significano milioni di naira. Mentre Netflix e Prime offrono ancora accordi a licenza, YouTube paga per click e watchtime. E spesso non basta per coprire i costi reali di una produzione di qualità.
- Algoritmi e limiti di genere
Lo dice anche Jessica Abaga, ex dirigente di Amazon Prime:
“YouTube funziona, ma solo per certi tipi di contenuti. La piattaforma spinge melodrammi romantici, mentre film più sperimentali o politicamente rilevanti faticano a emergere.”
La libertà creativa dunque c’è, ma solo quando si resta dentro i confini dell’engagement. Quello che piace, vince. Quello che è necessario, spesso, affonda. È un sistema darwiniano, dove il successo ha un algoritmo, e l’arte ne paga il prezzo.
- Mancanza di prestigio
Ancora oggi, un film uscito su YouTube viene percepito come “minore”, anche se ben fatto. Manca l’aura del cinema, manca la visibilità dei festival internazionali, manca la stampa mainstream. È il motivo per cui molti registi vedono YouTube come piattaforma di lancio, ma puntano comunque ad un’uscita su Netflix o Prime per consolidarsi.
Come scriveva Chris Ihidero, autore veterano di Nollywood:
“Non ci sono sostituti all’investimento in contenuti di qualità su piattaforme accessibili. È ora che l’NTA, la TV pubblica nigeriana, torni a fare il suo lavoro.”

Il problema della pirateria e del controllo del contenuto
Un’altra criticità che minaccia la sostenibilità di questo modello è la pirateria digitale. Su YouTube, bastano pochi minuti perché un contenuto venga scaricato, duplicato, e caricato su altri canali, spesso attraverso watermark e audio modificato per sfuggire all’algoritmo di rilevamento. L’attrice e produttrice Bimbo Ademoye ha denunciato il caso del suo ultimo film, comparso su oltre 50 canali pirata, con centinaia di migliaia di visualizzazioni sottratte al canale ufficiale:
“Alcuni hanno addirittura messo il loro logo e la loro colonna sonora. Pensavamo che l’epoca della pirateria fosse finita, ma non è così.”
Senza un sistema di enforcement forte e locale, YouTube rischia di diventare terreno fertile per lo sfruttamento del lavoro creativo, e questo — a lungo termine — potrebbe scoraggiare molti autori dal tentare questa via.
Più che una rivoluzione, una transizione
YouTube è una possibilità, ma non la soluzione. Serve a farsi notare, a testare contenuti, a parlare direttamente ad un pubblico spesso escluso dal circuito ufficiale. Ma da sola non può sostenere l’intera industria, né garantire l’evoluzione artistica del cinema nigeriano.
Il futuro di Nollywood, come quello di ogni cinematografia emergente, passerà da un equilibrio tra piattaforme, tra accessibilità e qualità, tra visibilità e autorialità. YouTube è il campo di battaglia. Ma la sfida, quella per una distribuzione giusta, globale, equa e sostenibile, è appena iniziata.