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‘Un semplice incidente’: vittime e vendicatori, restare umani?
Al cinema
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2 mesi agoon
Che gioia aver rivisto quest’anno il regista iraniano Jafar Panahi camminare libero sul tappeto rosso del Palais du Festival per presentare il suo ultimo film, A Simple Accident, Palma d’oro alla 78a edizione del Festival di Cannes.
Per anni il regime ha impedito a Panahi, che ha vissuto anche l’esperienza della prigionia, di girare film e di uscire dal Paese per presenziare ai Festival che lo invitavano: stessa sorte è toccata ad altri noti registi iraniani, fra i quali Mohammad Rasoulof, giunto a Cannes l’anno scorso clandestinamente per presentare in concorso Il Seme del Fico Sacro.
Ma questi artisti non hanno mai smesso di girare e fare film e forse il regime ha pensato che la sedia vuota con il nome del regista, lasciata in sala dagli organizzatori del Festival – un’immagine che ogni anno ha fatto il giro del mondo sui media – richiamasse l’attenzione ancora di più della presenza fisica dello stesso Panahi.
A sette anni di distanza da Tre Volti (Se Rokh), vincitore del Premio Migliore Sceneggiatura a Cannes nel 2018, Jafar Panahi e tornato in concorso a un Festival con Un simple accident, che dietro ad una trama da thriller/noir nasconde, come in tutti i suoi film, un risvolto politico riferito al suo Paese, l’Iran, dove la libertà e la giustizia non sono riconosciute e dove persone innocenti, artisti e lavoratori vengono arrestati e torturati per l’affermazione dei propri diritti alla libertà, al lavoro, alla vita, all’autodeterminazione, alla giustizia sociale.
Di fatto anche questa volta, nonostante non ci sia più alcun divieto formale in questo senso, Panahi ha dovuto girare il suo film interamente di nascosto con una troupe ridotta al minimo, per l’impossibilità di ottenere le autorizzazioni.
Il Film è al cinema dal 6 Novembre con Lucky Red.
Locarno Film Festival · Jafar Panahi
Il cinema come atto di resistenza di un geniale regista ‘home made’
La maggior parte dei film di Panahi, in particolare gli ultimi (fra questi: Taxi Teheran, Orso d’Oro Berlino 2015, Tre Volti in concorso a Cannes 2018, Gli orsi non esistono, Premio della Giuria a Venezia 2022), a causa delle restrizioni imposte dal regime, sono sempre stati girati ‘in casa’, con pochissimi mezzi ma con sceneggiature e trovate geniali, che riescono a fondere con grande capacità registica la realtà e la fiction cinematografica.
A Simple Accident non fa eccezione a questo impianto: una trama apparentemente semplice diventa complessa per i significati, i dialoghi, la tensione crescente, le contraddizioni dei protagonisti, il ribaltamento delle apparenze e delle certezze da cui parte lo sguardo iniziale. Fino a chiamare in causa lo spettatore nelle scelte dei protagonisti: cosa fareste voi al posto loro?
Una famiglia con la macchina in panne (marito, moglie incinta e una bambina), un meccanico nella periferia di Teheran che aggiusta il guasto, un riconoscimento fortuito, ma con qualche dubbio (sarà davvero lui?) che il rispettabile guidatore padre di famiglia sia uno dei peggiori torturatori delle prigioni iraniane, la reazione immediata, viscerale del meccanico, la ricerca dei compagni ex-detenuti picchiati, bastonati, appesi, sottoposti a scariche elettriche e violenze sessuali.
Questo gruppo di lavoratrici e lavoratori ribelli, reattivi, orgogliosi, benché feriti ed umiliati, rappresenta il popolo iraniano, che non cede neppure sotto tortura, che cerca la libertà a ogni costo e che, da pacifico cultore della vita, dell’arte e dei mestieri quotidiani, può trasformarsi in una massa potenzialmente violenta e capace di uccidere.
Giustizia e dilemmi etici, per non perdere la propria umanità
Panahi con A Simple Accident affonda la lama nel cuore del regime, mostrando la sua sviluppata capacità di acuto osservatore del Paese e delle sue storture. Il regista disegna e dirige personaggi che nutrono dubbi, che si pongono dilemmi morali, nonostante l’iniziale desiderio di applicare la legge del taglione: occhio per occhio, dente per dente.
Ma non è facile diventare assassini se la voce di un bambino è capace di incrinare la folle sete di vendetta di chi ha perso tutto a causa dello Stato totalitario: la vendetta e la rivalsa produrranno altra violenza, ma se la giustizia non fa il suo corso, anzi se al contrario si afferma l’ingiustizia, i cittadini possono decidere in coscienza di ‘bruciare tutto’?
Jafar Panahi resta incollato con la macchina da presa ai suoi protagonisti, ne vede le evoluzioni, li segue nel loro percorso verso gli inferi, nell’angoscioso dilemma sulla decisione finale, immaginando una redenzione possibile, che forse è solo frutto della paura della morte.
La mission dei registi sociali: descrivere la società in evoluzione
Sono presenti nel film di Panahi tutti i temi sociali che caratterizzano la sua opera di artista, che non cessa mai di interrogarsi sulla complessità delle libertà individuali e collettive e delle relazioni sociali, in una società guidata dalla censura e dal silenzio.
Siamo registi sociali – afferma Panahi – e descriviamo la realtà del nostro Paese, della nostra società, in cui nessuno è completamente buono o cattivo ma tutti fanno parte e sono il risultato di un sistema che impone le proprie regole e i propri valori.
Per la prima volta, in un film del regista iraniano, la protagonista femminile compare senza velo, elemento questo che non passerebbe la censura iraniana ma che è un indice dei tempi nuovi e delle lotte delle donne.
Dopo la morte di Masha Amini – prosegue il regista – molte donne si erano tolte il velo e, dopo 40 anni di conflitti e repressioni, vedevamo le donne camminare liberamente senza velo in testa: questo era un evento totalmente nuovo, che rappresentava la nuova realtà della nostra società. E da regista sociale, ho girato questo film mostrando il personaggio femminile come sarebbe stato nella sua vita reale.