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Festival Internazionale del Film di Roma: “Who is Dayani Cristal?” di Marc Silver (Alice nella città)

Tra finzione e documentario Marc Silver mette in scena insieme a Gabriel Garcia Bernal la storia di un uomo partito dal Messico per inseguire il sogno americano rimanendo intrappolato per sempre nel deserto di Sonora

Pubblicato

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Anno: 2013

Durata: n. d. 

Genere: Documenatario

Nazionalità: Gran Bretagna, Messico.

Regia:  Marc Silver

Tra finzione e documentario Marc Silver mette in scena insieme a Gabriel Garcia Bernal la storia di un uomo partito dal Messico per inseguire il sogno americano rimanendo intrappolato per sempre nel deserto di Sonora. Ignota è la sua identità, il tatuaggio sul petto con su scritto Dayani Cristal è l’unico indizio a cui aggrapparsi per ricostruire una storia di speranza finita nella cronaca nera. Il Dayani Cristal della storia è uno dei tanti ‘invisibili’, uomini, donne e bambini in viaggio dal Messico per oltrepassare clandestinamente la frontiera con l’America del Nord nella forma del lunghissimo muro che separa il Messico dagli Usa, superato il quale vi è solo deserto.

E’ Alice nella Città, la sezione dedicata ai piccini, ad accogliere il dramma giocato tra storia personale, tragedia collettiva e assurdità del pensiero umano nel cui nome razze, etnie, religioni si riconciliano. Sulla East Side Gallery di Berlino, qualche tempo fa, una mostra fotografica sui muri nel mondo – segno tangibile della follia umana senza confini – si estendeva lungo quel che rimane del muro berlinese a testimonianza dell’assurdità di ieri e di oggi nella convivenza. Ricordo le immagine della frontiera tra Messico e Usa, un serpente lunghissimo fatto di pali metallici attraverso cui si riesce a vedere l’altro mondo, eretto in un paesaggio desolante come desolante è la ragione protettiva che ne ha determinato l’esistenza.

Silver e Bernal ripercorrono a ritroso i passi dell’uomo senza nome per arrivare a capo dell’enigma solo alla fine di un lungo viaggio. Bernal è ‘l’uomo senza nome’ nella parte finzionale della ricostruzione del viaggio mortifero attraverso il deserto maledetto arso dal sole, famoso per la crudeltà con cui miete le sue vittime, migliaia di pellegrini clandestini. Il documentario si apre e si chiude in un percorso circolare alla fine del quale non siamo più gli stessi, ripetendo la stessa preghiera che recita così: “Perché partire è un po’ come morire”, massima che racchiude la condizione metaforica o meno di quanti si lasciano alle spalle la propria terra per cercare una sorte migliore e nel cammino perdono una parte di sé, delle proprie radici, se non addirittura la vita, come nel caso dei migranti. Silver ricostruisce gli ultimi momenti della vita del migrante/Bernal, procedendo al di là del muro, nella contea di Pima, in Arizona, dove la burocrazia muove i suoi passi per dare all’uomo senza identità un nome e una storia.

Nella risoluzione del caso, Bernal e Silver si affidano a testimonianze istituzionali e di famigliari per tratteggiare un ritratto intimo e personale ben inserito in un contesto socio-economico e politico generale lucidamente criticato. In lacrime, i parenti della vittima non comprendono le ragioni di un investimento sempre più cospicuo nel muro, oggetto divisorio fisico e politico la cui violazione causa vittime costanti, invece di occuparsi degli esseri umani. Ed ecco che il caso singolo, piccolo, privato, diventa il mezzo per denunciare senza sensazionalismi una pratica politica di respiro più ampio. Who is Dayani Cristal? insiste nel ridare all’uomo con il tatuaggio un’identità per ricordarci che dietro ai numeri (delle vittime) si dispiegano storie e lacrime di disperazione per la perdita.

Francesca Vantaggiato

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