The Killers, presentato al Korea Film Festival, è un film realizzato a quattro mani. Sono infatti quattro i registi che hanno firmato quest’opera, KIM JONG-KWAN, Roh Deok, Chang Hang-jun e LEE MYUNG-SE. Un vero e proprio mosaico di storie, visioni e colpi di scena.
Il film è un’opera sorprendente, intrigante e accesa. La costruzione della tensione – soprattutto in specifiche scene di inseguimento finalizzato all’assassinio del malcapitato/a – risulta brillante, e l’effetto che se ne ricava è quello di estrema vividezza del racconto. Con la conseguente possibilità di immedesimazione nella storia da parte dello spettatore, che assiste in prima persona – o meglio partecipa, insieme agli stessi attori sullo schermo – alle crude vicende che prendono vita di fronte a lui.
The Killers: quattro storie, un film
Sono quattro, si è detto, gli atti di The Killers, che risultano perfettamente compenetrati con le scene, gli snodi cruciali e con la citata costruzione della tensione. A legare i diversi momenti vi è in primis la struttura narrativa e la forza dei colpi di scena in essi inseriti: ciò significa che l’idea alla base funziona in maniera molto semplice. Oltre ad essere intuibile già dal titolo, che rimanda al noto breve racconto di Hemingway del 1927 dal medesimo titolo e trama. C’è una banda di criminali (poco efficientemente organizzata), che deve uccidere in ogni quadro una persona diversa, finita nel mirino di organizzazioni a queste superiori, sia per ingegno che per conoscenza effettiva della situazione.
Le molteplici bande fanno un uso sistematico della violenza, pur sempre esercitata attraverso una scarsa organizzazione delle risorse e una goffa impreparazione, riuscendo a dare vita, così, a momenti di ironia, che si rivelano stranianti, poiché accompagnati da esplosioni di violenza, non improvvise, ma feroci. Non vi può essere, dunque, un momento distensivo, che faccia da seguito alle situazioni ironiche sapientemente create alla regia.
Tra incubo e realtà, si delinea così una sorta di “narrazione sospesa”, in quella che è una più generale ambientazione a metà strada tra il noir e il gangster. Lo spettatore, cioè, non riesce a capire, nella durata di tutti e quattro i quadri di The Killers, che cosa sia reale e che cosa sia sogno o immaginazione. Che vita, e in che luogo, stanno sperimentando i protagonisti? Sono davvero loro, una parte di essi, o si tratta unicamente di un gioco di proiezioni?
I registi hanno costruito uno spazio filmico che procede per paradossi e antitesi, esplicitate dal frequente cambio colore/bianco e nero, che lascia la porta aperta al reale e all’immaginario, contribuendo così a creare un’atmosfera dove la minaccia, oltre che tangibile, è sempre pronta a trasformarsi in azione. Da un momento all’altro, nella più totale imprevedibilità.
Il tema della violenza e la presenza del sangue
Il tema della violenza attraversa tutte e quattro le storie di The Killers, perché in tutti e quattro i quadri prende vita e forma, con modalità solo leggermente differenti.
La violenza viene esercitata in un microcosmo che per colori, musica e narrazione, non può che definirsi macabro e ambiguo. I colori, scuri e freddi, la musica sinistra, i vasi pallidi e i frequenti primi piani, oltre che la presenza di una rete di criminalità particolarmente ben insediata nel territorio, e quindi operativa; senza dimenticare di citare le pratiche di vampirismo esercitate dai protagonisti, contribuiscono a creare e a perpetrare violenza, anche solo immaginata, con singolare abilità.
La violenza agita dai personaggi inoltre è figlia di un dissidio interiore di natura, almeno in principio, (paradossalmente) etico. Le diverse bande si muovono con l’obiettivo di punire determinati criminali che hanno commesso atti particolarmente cruenti nella loro vita, per finire – di fatto – ad usare quella stessa violenza che tanto condannano. Una contraddizione che è essa stessa una forma di criminalità e che vige, ed è legittimata, ancora in molti Paesi. Oltre ad essere legge, nella forma, ad esempio, della pena di morte.
Nel momento in cui la violenza viene agita, questa è spesso accompagnata da un’importante presenza di sangue, che – bevuto o no – contribuisce ad alimentare il senso di terrore e di paura nello spettatore. Allo stesso tempo questa violenza viene desaturata dall’ironia che si insinua tra le scene, e che corrisponde, come detto, alla sostanziale impreparazione a tratti surreale dell’operato criminale delle bande.
Il ruolo della donna e la cultura coreana
La cultura coreana irrompe nel film e pretende uno spazio che altrove non gli è sempre concesso, tramite la ripresa di contraddizioni socio-culturali, personali e stili di vita. E ancora riflessioni sui ruoli di genere, che prendono vita tra le scene, facendo da collante delle varie sequenze. Così da risultare, queste ultime, ben integrate con la narrazione e struttura filmica.
Spiccano le provocazioni, esternate attraverso le molteplici battute ironiche, particolarmente taglienti, quindi, sul ruolo della donna. Nel primo quadro, l’assassino con una faccia mostruosa (somiglia a un maiale, e forse l’obiettivo è proprio quello di rimandare a una natura animalesca, espressione di una violenza che è impulso non mediato dalla ragione) colpisce una donna credendo di aver colpito, però, un uomo. Salvo poi accorgersene, in un momento diverso da quello narrato. E affermare, quindi, stupito (chissà se dalla sua ignoranza, o se dal fatto che la vittima è effettivamente una donna): “Ho colpito una donna”.
Violenza sulle donne, ma anche sottile decostruzione di stereotipi, e quindi riflessione. Le diverse bande di criminali rappresentate in The Killers, infatti, non sono solo costituite di uomini. Ci sono anche donne. Anche le donne esercitano violenza, colpiscono e anche le donne pugnalano. Oltre a far bere sangue alle loro vittime, o agli stessi compagni di banda. Perché, come dice una di loro, “anche le donne sono cattive”.
Tutte queste sfumature di significato, la molteplicità di temi affrontati, insieme alla complessità di una narrazione sviluppata in più quadri, delineano un’opera che si può definire oscenamente sorprendente.