Un modo di sorridere insolito di Veronica Orrù, Amerika di Saverio Corti, e Fratello, documentario di Diego Fossati, sono tutti piccoli e grandi titoli di un Festival forte, come Filmmaker Festival, indipendente e capace di darci grandi emozioni. Forse troppe. Perlopiù intime, forse troppo private. Ci sentiamo, attraverso quei filmati d’archivio così domestici e preziosi, dei voyeurs, dei James Stewart con il binocolo in mano. Pronti a vedere nelle vite degli altri (Fratello di Diego Fossati), a scavalcare un continente stando fissi su una linea tranviaria (Amerika di Saverio Corti) e a conoscere un pezzo di nostro padre solo dopo molto, moltissimo tempo (Un modo di sorridere insolito di Veronica Orrù).
Un grande, grandissimo dettaglio
Ecco, sembra che l’intenzione di questo Festival sia quella di mettere insieme le più belle e nobili intenzioni del Cinema: l’universalità, con la soggettività, la memoria personale. Siamo nel discorso di Proust, di Bergson. Stiamo srotolando quel gomitolo di lana capace di renderci così vulnerabili agli occhi degli altri, ma anche così potentemente uniti nel nostro fragile verbo umano della memoria stessa. Seguendo quasi la filosofia di Simone de Beauvoir e di Annie Ernaux, se siamo capaci di entrare nel nostro io più profondo della nostra storia, allora riusciremo anche a scoprire l’universalità più vasta. Non è un discorso religioso, ma umano, prettamente umano, forse umanistico oserei dire. Non è facile descrivere con oggettività la grande carrellata che questo Festival offre: dai filmini amatoriali domestici sino alle storie d’oltralpe, per giungere alla narrativa più sperimentale.
Filmmaker Festival: la magia dei fotogrammi
Una cacofonia di grandi e piccole voci, di forti e deboli strumenti sonori, di scomposizioni e ricomposizioni di tecniche filmiche e sonore: non il solito Festival, una piccola e grande rivoluzione, che fotogramma dopo fotogramma, proprio come quei Super8, ci mostrano chi siamo stati, dunque chi siamo, e illuminano, con la lanterna che li fa girare, le nostre silhouette future. Non è determinismo, è la magia di quel che i fotogrammi possono fare se combinati in una certa maniera. Come l’esperimento televisivo di Salvador Dalì con la stagnola. L’arte che usando l’Arte supera se stessa.