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Interviews

48h Film Project: fra creatività pura e corsa contro il tempo

Il giorno del Kickoff del 48 ore Film Project abbiamo intervistato la responsabile organizzativa italiana, Tania Innamorati. In questa conversazione ci ha raccontato le possibilità che il festival offre e la sua organizzazione.

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Il 48h Film Project è un festival di cinema che si svolge per un weekend con una struttura particolare.

La sfida è quella di produrre un cortometraggio di 7 minuti entro le 48 ore previste. In ogni edizione a ciascuna squadra vengono assegnate delle prerogative obbligatorie da rispettare nelle riprese: due generi fra cui scegliere, caratteristiche di un personaggio, una linea di dialogo e un oggetto di scena.

Abbiamo intervistato Tania Innamorati, la responsabile italiana dell’iniziativa, per raccontarci qualcosa in più.

Da cosa nasce esattamente l’idea originale dietro il 48 Hour Film Project e com’è organizzare l’edizione italiana?

Faccio una premessa: non sono io l’ideatrice, è il franchising italiano di un progetto internazionale che in Italia portiamo avanti con passione da 18 anni.

Il 48 Hour Film Project in tutto il mondo si svolge da 55 anni e coinvolge 150 città, con un numero rilevante di partecipanti a livello internazionale.

L’ideatore mi ha raccontato che il festival è nato un po’ per caso e per divertimento. Poi l’entità della competizione è sfuggita di mano diventando sempre più grande e coinvolgente come a volte capita, specialmente in posti in cui è possibile sognare e fare business come gli Stati Uniti.

Il progetto ha trovato terreno fertile perché c’è una comunità di ragazzi a livello internazionale che si vogliono cimentare nella realizzazione di uno short film in un concorso per divertimento, per mettersi nella prova, per socializzare o per esercitarsi.

Inoltre è un’occasione per produrre un cortometraggio gratis. Questo è un punto concreto, perché difficilmente capita durante la vita professionale di chiedere a una persona di collaborare gratuitamente.

Invece si crea questa dimensione meravigliosa in cui tutti lavorano con passione ad un obiettivo comune e questa è una cosa trasversale, transnazionale. Abbraccia tutti i paesi e tutte le tipologie di persone, di nazionalità, di sesso e appartenenza. È un gioco ma è un gioco serio che viene preso con grande rigore e impegno da tutti.

Sicuramente è anche una grande vetrina; sono tantissimi gli attuali professionisti del cinema in Italia, e non solo, che sono transitati dal 48 e che grazie alla partecipazione a questo hanno avuto la possibilità di farsi apprezzare.

Questo può capitare a qualsiasi figura che abbia contribuito a realizzare il film: il tecnico, il direttore della fotografia o il montatore, oltre a registi e attori che sono i più facili da individuare. C’è l’effettiva possibilità di essere notati dai giurati ed essere chiamati in altre occasioni.

Così è successo anche a Pilar Fogliati o a Emanuela Fanelli.

Emanuela Fanelli vinse il premio Migliore Attrice nel 2014. Io ricordo esattamente il corto che fece: era quasi un monologo ed era strepitosa. Mi rimase molto impressa, e quasi dopo pochissimo tempo è esplosa.

Anche Pilar, che l’ha raccontato in un articolo poco tempo fa, è passata per il 48 e poco dopo ha trovato la sua fortuna. Ovviamente forse sarebbero emerse in ogni caso, ma partecipare al progetto per loro è stata una tappa significativa.

È lo stesso per Niccolò Falsetti, che ha vinto per due anni di fila il 48 ore. Dopo poco ha esordito con la sua opera prima, che è stata candidata ai David di Donatello. O ancora Aldo Iuliano, che con il suo cortometraggio Dive è in corsa per gli Oscar.

Quest’iniziativa può essere quindi una rampa di lancio importante: vincere un 48 dà ormai quasi direttamente credito per potersi presentare come dei professionisti.

Cosa aggiunge alla sfida l’estrazione degli elementi obbligatori e come nasce quest’idea?

Prima di tutto per evitare che le squadre girino prima. Tutti gli elementi obbligatori nascono dal fatto che noi dobbiamo essere certi che i partecipanti girino esattamente in quelle 48 ore. E anche così, comunque, c’è un margine di rischio perché si potrebbero inserire delle immagini girate precedentemente, ma in linea di massima si vede.

Inoltre, il senso dietro il 48 è l’incoraggiare la creatività pura. Dati gli elementi obbligatori del genere, tu devi avere la prontezza di costruire una storia che abbia una struttura, un senso e una sua dignità in pochissimo tempo e realizzarla in un weekend. Per questo vincere un 48 assicura di essere già bravi: riuscirci non è da tutti.

Qual è la sfida più grande dell’organizzare questo progetto e anche la più grande soddisfazione?

La sfida più grande è trovare i fondi. Fare progettazione culturale in Italia in questo momento è straordinariamente faticoso. Tutti gli anni –  lo dico senza polemiche – non si sa se puoi contare su 10, 50 o 100.

È così: non hai continuità nella tua attività, pur dimostrando anno dopo anno di essere capace di portarla avanti. Noi siamo un’associazione, non facciamo attività imprenditoriale. Tutti gli anni gli enti a cui ci rivolgiamo cambiano completamente le carte in tavola, stravolgono tutti i bandi per la realizzazione di determinati progetti in ambito culturale, stravolgono le scadenze o le risposte.

Per cui si ha un progetto da organizzare da portare avanti con fatica, ci sono delle persone bisognerebbe riconfermare, c’è il desiderio di crescere, ma ci si ritrova a non poterlo fare.

Ad esempio oggi siamo a fine novembre e ci sono due bandi di promozione cinematografica a cui abbiamo aderito, che fanno riferimento all’anno solare del 2024 i cui risultati ancora sono usciti, per cui io non so se ho metà dei finanziamenti o il doppio per il medesimo progetto.

È assurdo, perché se avessi saputo da subito di avere il doppio delle risorse mi sarei permessa di far venire i giurati dall’estero, di pagare meglio i miei collaboratori, di strutturare meglio il lavoro, ma non è possibile.

In Italia il sistema vorrebbe che tu lavorassi a queste cose per divertimento e senza riconoscimento.

A livello di soddisfazione personale invece mi piace molto, perché ti senti parte di un processo creativo in qualche modo, e questo è interessantissimo. È stupendo vedere che ci sono tanti ragazzi giovani creativi, entusiasti, che hanno voglia di fare, che ambiscono a fare cose belle.

Tu hai mai partecipato al 48h film project? Ci puoi raccontare qualcosa di quest’esperienza?

Sì, io ho partecipato nel 2010 e facevo l’assistente di produzione.

Fino a poco tempo fa venivano riconsegnati i supporti su una pennina o su un hard disk, quindi c’era la riconsegna dei corti a mano, e si doveva correre all’ultimo momento. Da una parte era sempre angoscioso, perché tutte le volte quasi rischiavi la vita proprio perché dovevi arrivare entro la scadenza. Vedevi le persone che tutte insieme correvano disperate. Ma la sensazione generale era fantastica.

Un anno ho portato io il corto sul motorino con il mio fidanzato. Attraversando Roma ci abbiamo messo 7 minuti. Io stavo dietro di lui con un Mac che nel frattempo faceva export sul supporto USB, quando sono arrivata mi stava per venire un infarto.

Però è stata una cosa meravigliosa. L’ho fatta per un anno, poi nel 2012 ho iniziato a organizzarlo. Che emozione, che bello.

La masterclass con Luca Bigazzi al 48hour film project 2024.

 

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