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Medfilm Festival

‘Nascondino’: il corto che cattura l’anima di uno dei quartieri degradati di Palermo

Le speranze e i racconti di bambini chiamati troppo presto a fare i conti con la crudeltà della vita.

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Alcuni documentari riescono ad entrare completamente nella pelle del mondo in cui vivono catturando lo spirito dei loro soggetti: è il caso di Nascondino, il docu-corto prodotto da “ZaLab Film”, per la regia di Danny Biancardi e Virginia Nardelli.

Riprese istintive che catturano l’energia e il dialetto distintivo del quartiere di Palermo. Un racconto crudo e onesto di innocenza e adolescenza in un mondo pericoloso per i bambini.

Il cortometraggio Nascondino è stato presentato, all’interno della sezione “Perle”, alla trentesima edizione del MedFilm Festival, il più longevo festival di cinema della Capitale e il primo in Italia dedicato alle cinematografie del Mediterraneo.

Una storia di quartiere

Nel mezzo di un quartiere popolare di Palermo, si erge un edificio abbandonato ormai distrutto dal tempo e dall’incuria. In un pomeriggio d’estate, alcuni bambini decidono di occuparlo per i loro giochi, ed ecco che le mura scalcinate diventano rifugio per nascondini spericolati. Al riparo dalle orecchie e dagli occhi del quartiere i bambini fantasticano sulla loro vita adulta confidandosi paure e desideri.

Quello realizzato da Danny Biancardi e Virginia Nardelli è qualcosa a cui è difficile restare indifferenti.

Le immagini che aprono il film, che mostrano dei ragazzini che giocano a nascondino all’interno di un edificio fatiscente e abbandonato, sono un po’ sconcertanti. Lo spettatore si chiede quanto giocare in quel posto possa essere pericoloso e se i ragazzini si rendono conto di quello che stanno facendo. Ma poi quel pensiero viene sostituito dalla curiosità per le loro storie. La telecamera si ferma su uno dei ragazzini. Si allontana in cerca di uno spazio nel quale nascondersi. Qui, le dimensioni dello spazio e del tempo si stravolgono: diventa un posto per raccontare al suo riflesso le sue paure, i sogni, le speranze. E il dialogo che fa con se stesso è spontaneo e genuino.

Il cortometraggio diventa così documentario, raccontando gli spaccati di vita di un gruppo di bambine. Qui si scoprono le loro tristi realtà: i genitori in carcere, la voglia di scappare da quel posto privo di futuro mantenendo però le amicizie che hanno segnato le loro infanzie. E sentire queste ragazzine parlare così liberamente delle loro famiglie, del quartiere, delle ambizioni per il futuro è di sicuro commovente.

I colori cupi e sbiaditi usati dai registi servono per descrivere la brutalità del vivere nei quartieri degradati, dove un luogo abbandonato può davvero diventare un rifugio da un mondo ostile che, spesso, prende i bambini e li trasforma troppo presto in adulti.

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