Maydegol di Sarvnaz Alambeigi è il tentativo di inseguire un sogno da parte di una giovane ragazza afghana. Presentato in anteprima italiana al Middle East Now 2024, il film di Sarvnaz Alambeigi racconta una storia tutta al femminile di determinazione e forza di volontà con, sullo sfondo, il ruolo quasi salvifico dello sport.
Per saperne di più sul festival fiorentino, dal 15 al 20 ottobre
La trama di Maydegol
Razieh è un’adolescente afghana emigrata con i genitori in Iran, che cerca di inseguire il suo sogno di diventare una professionista di pugilato muay thai femminile e partecipare ai campionati mondiali. È determinata a non farsi fermare dalla mentalità conservatrice della sua famiglia, dall’esperienza di abusi fisici e dall’ostilità razzista di chi la circonda. (Fonte: Middle East Now)
La recensione
Un documentario, quello realizzato da Sarvnaz Alambeigi, che osserva, segue a cerca di aiutare la giovane protagonista. Razieh è una giovane che si trova costretta a combattere, sia in senso letterale che in senso figurato, perché abbandonata da tutto e da tutti. Ed è per questo che la regista sceglie di mostrarcela continuamente, in ogni sua azione e in ogni suo movimento o spostamento, dalla paura alla speranza. La vediamo con la famiglia, sui mezzi, con le amiche, e anche combattere per diventare quella campionessa di pugilato muay thai che tanto ama.
In realtà, con la scelta di seguirla costantemente, è come se tendesse una mano alla giovane diciannovenne, come a dirle che c’è e ci sarà comunque qualcuno pronto a tendere una mano verso di lei. Noi che la seguiamo vorremmo aiutarla, vorremmo lanciare insieme a lei quegli enormi sassi che rappresentano ostacoli insormontabili che un’adolescente non può e non deve affrontare da sola.
La violenza celata in Maydegol
Sarvnaz Alambeigi sceglie di mostrarci ogni istante della vita di Razieh, prestando particolare attenzione a non far vedere quella violenza quasi intrinseca nella sua famiglia. Una violenza che, però, riusciamo a percepire e sentire sulla pelle. Anche se le scene sono nascoste allo sguardo, è ben chiaro quello che avviene. Bastano le urla e le grida.
Non ho speranza qui, non ho legami, non ho famiglia, non ho amici.
Tutto quello che Razieh cerca è pace e tranquillità, qualcosa che ormai non ha più nemmeno in casa o con le persone care.
In questo senso lo sport diventa metafora della vita. Uno sport non casuale, uno sport violento, ma non di violenza in grado di trasformare la paura in un punto di forza.
Lo sport come metafora della vita
Un passo indietro è segno di paura. Essere colpiti non significa molto nella thai boxe, ciò che conta è controllarsi, dominare l’avversario.
In questo modo l’allenatore della promettente e caparbia Razieh cerca di aiutarla e spronarla, facendole capire come agire per poter salvaguardare la propria vita, la propria esistenza e quella di coloro che la circondano.
Alla continua ricerca di essere compresa e soprattutto aiutata, Razieh si rifugia nello sport sperando che esso possa aiutarla a sentirsi davvero libera, a sentirsi davvero sé stessa e, in qualche modo, ad allontanare quei fantasmi che aleggiano su di lei.
Uno dei protagonisti di Maydegol: il paesaggio
Se lo sport, come metafora della vita di Razieh, diventa centrale nell’odissea che la giovane si trova costretta a vivere, c’è anche un altro elemento essenziale nella narrazione: il paesaggio. Con delle riprese che danno vita a uno stile quasi unico, Maydegol regala anche uno spaccato naturale del paesaggio nel quale la giovane cerca rifugio. E, al tempo stesso, anche di quello che ha lasciato e che vorrebbe tornare ad abitare. Con suggestioni interessanti, l’opera di Sarvnaz Alambeigi invita a una riflessione profonda.
Un mondo, quello descritto, duro e crudo, che solo la bellezza, in senso lato, può scalfire e addolcire. Una missione tutt’altro che semplice per un fiore spezzato.
Sono Veronica e qui puoi trovare altri miei articoli