Cosa faresti se ti restassero solo 21 giorni prima di morire? Vivresti gli ultimi tempi con la persona amata? Andresti in capo al mondo? O staresti a casa a riflettere sul tuo terribile destino?
Nel cuore di 21 Days
Marzo 2029. Olav, ingegnere e attivista informatico, rientra a casa dopo una lunga giornata di lavoro e raccoglie la posta. Tra le varie lettere ricevute, trova una busta di un colore particolare e capisce immediatamente di che cosa si tratta: tra 21 giorni cesserà di vivere.
Olav, essendo un esperto di informatica, riesce a scovare la causa della sua morte e farà di tutto per contrastare il sistema governativo che gli impone di morire. Riuscirà a scappare dal suo terribile destino?
Un futuro distopico che nasconde temi attuali
Il cortometraggio, in concorso all’Ortigia Film Festival, è ambientato in un futuro distopico, non molto lontano dal nostro presente. La vita della popolazione è controllata da un software informatico chiamato Big Data che permette al governo di gestire, manipolare e decidere sulla vita di ogni singola persona. Persino il momento della morte è deciso dalle istituzioni, spedendo, appunto, una lettera di preavviso all’interessato.
Sotto questa ambientazione futuristica si nascondono temi molto attuali e che oggi, più che mai, fanno discutere. La paura dell’instaurazione di regimi totalitari in varie parti del mondo, l’incessante sviluppo della tecnologia e la paura di morire sono i punti cardine del film.
Il regista è riuscito a regalare allo spettatore un possibile scenario futuro, partendo da problematiche assai datate, ma sempre molto vicine a noi. L’attenzione è posta soprattutto sul regime che governa il mondo futuristico. Non a caso, l’arrivo della lettera viene evidenziata fin dalle prime scene del film per rimarcare il vero scopo della pellicola. Il regime impone la morte ai suoi cittadini; decide come, quando e perché quell’individuo deve morire. Non è forse una storia già vista?
Infine, la paura della morte è qui toccata in modo drastico. Olav si sente mancare il fiato quando legge la sua lettera, gli scorrono davanti agli occhi una serie di momenti per lui indimenticabili. Sono attimi quasi di pura follia, ma che arrivano alle corde del cuore dello spettatore.
Questa paura della morte ha avuto un incremento sulla psiche della popolazione mondiale negli ultimi anni con la pandemia da Covid-19. Siamo di fronte, ancora una volta, ad un tema molto attuale. Ci fa porre una domanda: in un possibile futuro, si potrebbe davvero arrivare a sperimentare una situazione del genere? Forse non siamo poi così lontani da questo mondo distopico.
Un linguaggio cinematografico convincente
Il regista Felipe Franco, in solo 18 minuti, porta a galla il vero scopo del film, ma allo stesso tempo indirizza lo spettatore a riflettere su quello che sta vedendo. Le inquadrature molto dettagliate sia sul personaggio che sui vari oggetti, rendono la pellicola intrigante e ricca di suspense. L’attenzione che la cinepresa pone sul pendolo di Newton è, a tratti, terrificante perché ricorda la scadenza dei 21 giorni.
Il suono è perfetto. I temi informatici, il ticchettio del pendolo e la voce robotica in sottofondo, riescono a rendere l’ambientazione credibile, permettendo allo spettatore di immergersi in un mondo nuovo e futuristico, quasi normale.
21 Days è un cortometraggio ricco di spunti riflessivi. Riesce ad unire aspetti molto diversi tra loro senza esagerare, regalando così una pellicola equilibrata e fruibile a tutti.
Ogni film cerca di parlare con lo spettatore: 21 Days ci riesce perfettamente, utilizzando un linguaggio quasi fantascientifico, ma originale.
Il cinema deve fare questo: provocare la coscienza dello spettatore. Oggi più che mai.
