Mentre Dune – Parte Due esce in sala, su IWONDERFULL e IWONDERFULL Prime Video Channel è possibile recuperare il film del 2013 Jodorowsky’s Dune, di Frank Pavich. Un documentario che è anche la rievocazione di un tempo e di un’epoca lontana anni luce da noi, dove era ancora possibile sognare in grande, parlare di arte infischiandosene (o quasi) dell’industria. Fino a concepire un film che, forse, fosse stato realizzato avrebbe cambiato radicalmente il nostro modo di intendere il blockbuster.
Premesse – ‘Jodorowsky’s Dune’
1974. Dopo il successo internazionale de La montagna sacra al visionario artista cileno Alejandro Jodorowsky viene data carta bianca per un nuovo progetto. È così che il regista di El Topo propone al produttore francese Michel Seydoux (zio di Lea) l’adattamento nientemeno che della Bibbia dei romanzi di fantascienza: il “Dune” di Frank Herbert. Sarà l’inizio di un’avventura destinata a concludersi anzitempo ma che permetterà al regista di mettere insieme personalità eccezionali ed eterogenee. Dall’illustratore Chris Foss a Orson Welles, da Jean “Moebius” Giraud (che disegnerà tutti gli storyboard del film) al regista ed effettista Dan O’Bannon e all’artista H.R. Giger (che torneranno insieme per un altro capolavoro, Alien), passando per nomi come Pink Floyd, Mick Jagger e Salvador Dalì (!).
What if…?
E se Jodorowsky fosse riuscito a realizzare il suo Dune? Davvero, come dice Nicolas Winding Refn, la storia del cinema avrebbe preso tutt’altra direzione? È impossibile sottrarsi al giochino del what if davanti a un documentario come Jodorowsky’s Dune. Soprattutto visto il calibro delle personalità che in quegli anni erano state coinvolte nel progetto. Una sorta di dream team quasi troppo bello per essere vero ma che, in quel biennio, sembrò a un passo dal poter davvero dare vita a un sogno. A un progetto che, almeno sulla carta, sarebbe potuto realmente essere qualcosa di unico.
Block notes di un visionario
Film appartenente – assieme al Napoleon di Kubrick, al Mastorna di Fellini e a pochi altri – a quella mitica cerchia di capolavori mai realizzati, il Dune di Jodorowsky diventa così il simbolo dell’arte contro l’industria. L’emblema di una visione e una passione troppo autentiche e brucianti per piegarsi alle logiche del mercato. È questa, in fondo, la chiave di lettura del documentario di Pavich. Testimonianza di un tempo perduto in cui si poteva ancora tentare (o, almeno, immaginare) di realizzare un blockbuster anti-hollywoodiano che non avrebbe avuto il solo scopo di intrattenere (e far soldi) ma anche “di cambiare la mentalità del pubblico”.
Tra cinema e utopia
Una sfida utopistica che non poteva che essere lanciata dal regista de La montagna sacra. Un’impresa impossibile, forse già persa in partenza, eppure degna di essere conosciuta. Tanto per il gusto di sentirla raccontata dai diretti interessati (dall’anziano ma ancora vitalissimo Jodorowsky alle testimonianze di compagni di viaggio e colleghi), quanto per capire davvero la portata che questo progetto incompiuto ha avuto sulla fantascienza a venire. Un’influenza innegabile, che va da Alien (che beneficerà di parte di quegli artisti) allo stesso Star Wars. E che davvero ci rende impossibile, dopo la visione, non chiederci seriamente: “E se…?”.