Domenica 19 novembre, nel fitto programma del Future Film Festival, era previsto uno spazio per la replica dei film vincitori. Con una decisione che rivela da un lato tanta sensibilità e dall’altro grande attenzione per il valore sociale e culturale del cinema stesso, la Direzione del festival bolognese ha scelto invece di ospitare, alla presenza del regista Stefano Savona, una proiezione speciale del film La strada dei Samouni. Il documentario, datato 2018, è tra le opere cinematografiche più penetranti e sincere, che siano state realizzate recentemente per descrivere le condizioni disperate in cui versa il popolo palestinese nella striscia di Gaza. Non un fatto delle ultime settimane, ma una vergogna che si protrae da troppi anni. Sebbene sia stata proprio la sanguinosa escalation militare in Medio Oriente a ispirare, giustamente, questo apprezzato fuori programma, che ci ha permesso di fermarci a riflettere con una più accentuata empatia sulle cose terribili che stanno accadendo.

La sinistra attualità del film
Assai appropriato, calibrato è stato anche l’intervento di Stefano Savona prima della proiezione. Il cineasta, intervistato sul momento dalla direttrice artistica Giulietta Fara, è stato prodigo di interessanti notizie sulla complessa gestazione del suo lavoro, ma ancor più valore ha assunto la sua testimonianza personale su come si vive “normalmente” a Gaza. Le immagini di morte e di orrore provenienti da lì hanno riempito i nostri telegiornali per giorni e giorni. Ma importante è capire che, per quanto ora la strage abbia assunto proporzioni inaccettabili (e l’autore è stato talmente saggio da ricordare anche, alla fine del discorso, le vittime innocenti israeliane precedentemente massacrate o prese in ostaggio da Hamas, poiché la soluzione di un problema così serio è talmente difficile che ci si deve lavorare da entrambi i lati della barricata), la quotidianità di quei territori è costellata da anni di soprusi, attacchi indiscriminati, esecuzioni sommarie e privazioni d’ogni sorta. La sorte crudele toccata alla famiglia dei Samouni, di cui diversi componenti sono stati uccisi quando erano operazioni militari spietate come “Piombo Fuso” a far vivere nell’insicurezza più totale la gente del posto, diventa così emblematica delle sofferenze affrontate da un intero popolo.

La triste magia di un oggetto filmico articolato e complesso
Tra le tante cose preziose che Stefano Savona ha voluto ricordare vi è naturalmente la collaborazione con l’animatore Simone Massi. Le sue così poetiche animazioni richiedono in genere diversi mesi di lavoro per sequenze di pochi minuti. Il loro incontro avvenne in un’altra cornice festivaliera, a Pesaro, occasione che Stefano Savona seppe sfruttare bene per chiedere a Simone Massi di lavorare con lui a La strada dei Samouni, una partnership creativa che poté concretizzarsi solo perché per i circa quaranta minuti di racconto resi attraverso i disegni ci si è potuti avvalere di una squadra più ampia. Il tatto e le capacità di Simone Massi sono stati comunque necessari a rappresentare momenti assai delicati, che altrimenti non sarebbero stati facilmente raffigurabili.
Dai racconti dei sopravvissuti prende forma infatti un brutale, selvaggio attacco delle forze d’intervento israeliane, che costò la vita in circostanze tanto assurde quanto connotate da un’inaudita violenza a un gran numero di civili, compresi donne e bambine, mentre i luoghi in cui vivevano venivano rasi al suolo dalle bombe. Su scala ridotta ciò che sta accadendo purtroppo oggi in tutta la striscia di Gaza.

Tra documentazione e certosina ricostruzione
L’animazione poetica di Simone Massi è stata quindi importantissima per rappresentare tutto ciò, in primis le terribili conseguenze del blitz israeliano. Altrettanto importante per il documentario è stata però la qualità della ricerca: non soltanto la presenza di Savona e della sua troupe nei paraggi di Gaza, dove hanno potuto familiarizzare con le vittime innocenti di questa storia (seguite anche nella difficile elaborazione del lutto e nelle poco gradite interferenze di Hamas o di altri partiti d’ispirazione religiosa, sempre pronti a strumentalizzare quelle morti e tutte le altre sofferenze per motivi politici), ma anche uno studio accurato delle prime indiscrezioni provenienti dagli ambienti militari israeliani, che sulla base delle registrazioni verbali dell’intera operazione hanno portato a una validissima e allucinante ricostruzione visiva delle modalità disumane, estranee a qualsiasi regola d’ingaggio comunemente accettata, con cui venne condotto l’attacco.
