Un’opera intima e al tempo stesso corale, Petites. La vita che vorrei…per te, su quelle ragazze che, ancora troppo ‘piccole’ (le petites del titolo), spesso immature, si trovano ad affrontare una responsabilità enorme, quella di una gravidanza, spesso casuale o indesiderata, con la conseguente difficile decisione se tenere o no il bambino, e se in caso farlo nascere e darlo poi in adozione. L’idea di realizzare questo film era già da anni nella mente di Julie Lerat-Gersant, regista e sceneggiatrice francese, quarantenne dinamica e impegnata, scaturita da un’esperienza personale, quella di laboratori di scrittura per ragazze-madri di 15-16 anni, realizzati in centri di accoglienza per giovani gestanti, sorta di case-famiglia dove madri adolescenti, con varie situazioni (alcune allontanate dalle famiglie o con famiglie di origine socialmente inadeguate, con problemi di polidipendenze o criminalità), e i loro bambini nati o nascituri, vengono seguiti in diverse fasi. Petites è un film raro, sull’essere madre, sulla trans-generazionalità, sugli schemi familiari, emotivamente coinvolgente ma senza alcuna retorica.
Il film, capace di toccare con discrezione ma grande efficacia le corde più profonde della psicologia e delle emozioni dei protagonisti, dopo aver vinto il Premio Boccalino d’Oro, assegnato dalla critica indipendente del 75° Festival Internazionale del Film di Locarno (un premio voluto da Marco Müller e portato avanti per 22 anni con l’intento di celebrare i film capaci di toccare temi etici, morali e politici legati al nostro tempo), è stato proiettato, alla presenza della regista, al Rendez-Vous Festival del Nuovo Cinema Francese, presso il Cinema Nuovo Sacher di Roma. Petites arriverà nei cinema italiani a maggio, distribuito da Satine Film.
Petites: ragazze-madri e case di accoglienza
La motivazione del premio conquistato a Locarno esprime in poche righe la quintessenza di questa opera prima, potente e intelligente, dove Julie Lerat-Gersant si confronta con un problema sociale spesso trascurato o sottovalutato, nonostante l’attenzione che, soprattutto in Francia, è sentita per queste tematiche: “Con una sensibilità e una bravura eccezionale nella direzione delle sue giovani attrici – recita la motivazione – la regista riesce a creare un’opera piena di vitalità, forte e struggente su un soggetto delicato come quello della gravidanza in giovane età, tratteggiando con arguzia la complessità del microcosmo della struttura sociale che accoglie le ragazze-madri.”
Il film racconta la storia di Camille, 16 anni, che si trova inaspettatamente in attesa di un bambino, il cui padre è anche lui un ragazzino. Dato che la madre di Camille, pur volendole molto bene, è poco affidabile, beve troppo, assume sostanze stupefacenti ed è spesso fuori casa, la ragazza viene mandata dal giudice minorile in un centro di accoglienza per giovani gestanti. Qui Camille, che non può più abortire anche se vorrebbe perché la gravidanza è ormai troppo avanzata, cerca di sopravvivere fra ragazze-madri sconclusionate e forti dubbi sul cosa fare del bambino che nascerà. L’amicizia con Alison, una giovane ragazza immatura e scapestrata che vive con la piccola figlia Diana nella casa-famiglia, la relazione complessa con Nadine, un’educatrice della struttura, tanto appassionata quanto disillusa, e la tristezza per il comportamento di sua madre, apriranno gli occhi a Camille facendole capire, attraverso sofferenza e sconvolgimenti emotivi, quale sia la cosa giusta da fare per la sua giovane vita.
Madri-bambine e trasmissione familiare
Si evidenzia nel film come le ragazze ospiti della casa-famiglia, avendo 15-16 anni, siano poco più che bambine, nel pieno dell’adolescenza, a metà fra due mondi, con un’identità cangiante, spesso poco responsabili, volubili e sognatrici.
Per meglio evidenziare questo stato, la regista voleva che Camille fosse interpretata da un’attrice che aveva ancora un piede nell’infanzia, ma anche uno nel mondo degli adulti. “In certi momenti, Pili Groyne, l’attrice che interpreta Camille – racconta la regista – si dimentica di aspettare un bambino, avevo bisogno che avesse l’aria di una ragazzina, poiché il film si svolge nell’arco di 6 mesi e questi codici ci ricordano che è ancora piccola e si diverte: nel film a volte gioca a fare la donna, ma allo stesso tempo guarda i cartoni animati, beve cioccolata calda, rimane una bambina”.
La regista si interroga anche sulla trasmissione degli schemi familiari, sul modo in cui essi si riproducono e su come possiamo spezzare il loro ripetersi. “Petites – prosegue la regista – è anche la storia di uno svezzamento materno, Camille capisce che può attraversare la vita anche senza essere in totale fusione con sua madre: questo rimanda anche alla mia storia personale, mia madre è entrata in coma mentre diventavo mamma, 10 anni fa. Ho scoperto il sentimento materno avendo una madre che adoravo e che stava fisicamente per andarsene. Anche se siamo fatti delle storie dei nostri antenati, volevo interrogarmi sul fatto che, in base agli incontri che si fanno, ciascuno può tracciare poco a poco il proprio percorso.”
Il coraggio di una scelta di fronte al bivio
L’energia dell’adolescenza, la fame di amore e di vita di queste ragazze, ma anche la difficoltà di sentirsi vincolate dai figli a 16 anni, fanno emergere nel film un problema di scelte, individuali e sociali: senza giudicarli ma stando accanto ai suoi personaggi, la regista mostra la complessità di situazioni dove non sempre la decisione di tenere un bambino si rivela quella giusta, per sé stesse e per il nascituro. Anche la figura dell’educatrice è tratteggiata con grande umanità, una donna che pur amando il suo lavoro e restando sempre accanto alle ragazze nei momenti bui, è lei stessa affaticata e delusa dalle difficoltà e dalla solitudine della vita nella casa-famiglia.
“L’idea di realizzare questo film – prosegue la regista – è nata diversi anni fa, mentre conducevo i laboratori di scrittura in una casa-famiglia popolata da madri adolescenti e da bambini molto piccoli. Mi ha colpito il disarmante mix di adolescenza spensierata e responsabilità genitoriale di queste ragazze. La realtà è dura e, sfortunatamente, i modelli familiari si ripetono spesso di generazione in generazione. Ma a volte, per fortuna, la storia di alcune giovani donne dà speranza alle altre e lascia il segno anche negli educatori. Camille, la protagonista del mio film, è una di queste. Petites è il ritratto di una giovane adolescente a un bivio che spezza il circolo vizioso degli schemi familiari. Eroina resiliente dei tempi moderni, questa ragazza si erge coraggiosamente di fronte a un determinismo fatalista. Stava già prendendo forma un film… la mia opera riflette le contraddizioni della maternità e della genitorialità: che è sempre un lavoro difficile, anche quando c’è amore.”