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The Woddafucka Thing. La recensione

Il primo lungometraggio di Gianluca Vallero in anteprima al Filmfest Bremen

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Prima della recensione

The woddafucka thing è il primo lungometraggio di Gianluca Vallero, regista piemontese trapiantato fin dagli ultimi anni ’80 a Berlino e con alle spalle una lunga esperienza da reporter radiofonico e doppiatore, oltreché autore di alcuni acclamatissimi e premiati cortometraggi.

Presentato in anteprima mondiale al Filmfest Bremen il 14 aprile 2023, il film è una produzione indipendente finanziata dalla Finimondo Productions dello stesso Vallero e sostenuta nel suo farsi dalla tedesca Shoot’n’Post.

Il cast del film include Dela Dabulamanzi, Carlo Loiudice, Marc Philipps, Emilio De Marchi, Robert Kovacic, Cem Sultan Ungan, Daniel Steiner, Gerd Conradt e Edie Samland.

La trama

Sweety (Dela Dabulamanzi) è una giovane DJ e speaker radiofonica afroberlinese che cerca di dare una svolta alla sua vita e a quella del compagno Klaus (Daniel Steiner) lavorando secondariamente per Boss (Emilio De Marchi), misterioso criminale che tiene in pugno Berlino dalla sua monovolume nera, guidata dal peperino Goran (Robert Kovacic).

Con la promessa di una lauta ricompensa, Sweety viene incaricata di ricevere da due “squali” degli affari ben centocinquantamila euro in cambio di una misteriosa valigetta affidatale dal suo losco capo. Ma una faccenda da poco si rivela molto più complicata del necessario: la coppia di cinici agenti immobiliari Mr. Klotz e Mrs Schmitt (Gerd Conradt e Edie Samland) riesce a raggirare la giovane, costringendola a una situazione scomodissima con Boss: recuperare in qualche maniera i suoi soldi entro una settimana, pena la morte.

Ed è a questo punto che la povera Sweety entrerà in contatto con una coppia abbastanza stramba: Ninja (Marc Philipps) e Gino (Carlo Loiudice), due fratellastri con lo stesso padre e che gestiscono con grande difficoltà una penosa scuola di karate, situata in uno degli immobili dell’infame coppia Klotz-Schmitt.

La minaccia di un affitto in aumento e l’impellente bisogno di soldi costringerà i tre protagonisti a unire le forze per mettere fine una volta per tutte ai loro problemi: una delicata rapina ordita dall’ambiguo Cem (Cem Sultan Ungan), un delinquente turco immigrato da diverso tempo e capo indiscusso del quartiere di Kreuzberg, è ciò che resta per tentare il tutto per tutto.

La nostra intervista a Gianluca Vallero per The Woddafucka Thing

‘The Woddafucka Thing’, sopravvivere a Berlino. Intervista al regista Gianluca Vallero

Intervista a Gianluca Vallero

Il cielo sopra Berlino non è mai stato così vicino.

Un’opera fortemente biografica ed empatica, lo specchio di tante esistenze berlinesi che come Vallero hanno dovuto imparare a insediarsi, vivere e sopravvivere in una realtà vibrante, metamorfica e multiculturale.

La Berlino mostrata dal film deve molto ai grandi maestri del Nuovo Cinema Tedesco, specialmente a Wim Wenders e al suo Il cielo sopra Berlino, opera esplicitamente citata dal regista piemontese in un’intervista riguardante il suo progetto. Ma qui di angelico c’è ben poco: lo sguardo panoramico della cinepresa di Gianluca è disilluso, forse nostalgico, ma sicuramente purificato da ogni orpello metafisico. C’è tutta l’oggettività di tante opere d’arte tedesche dei tempi della più cruda e disinibita Repubblica di Weimar, in un momento di totale perdizione fisica e spirituale.

Ne risulta dunque una regia pulita ed essenziale, carica di tanta maestria compositiva e di nitida sintesi formale, forse addirittura paragonabile ad alcune pellicole del Kitchen Sink Cinema e all’occhio ateo e marxista della coppia Straub-Huillet.

A controbilanciare lo sguardo netto e assennato di Vallero contribuisce tutta la magia caratteriale e sceneggiaturale dei vari personaggi, carichi di personalità e ambizione, mossi dal desiderio e da una speranza dura a morire, nonostante siano “finiti i tempi in cui la bandiera rossa era promessa di libertà”. La loro presenza è il controcanto perfetto: una recitazione densa ma accorta e ben congeniata delinea delle individualità comiche e cangianti, che cozzano con tutta quella cinica indifferenza che pare inevitabilmente circondarli, come se fossero braccati da famelici squali.

Sì, proprio gli “squali”, ossia una generazione di veterani berlinesi che ha saputo trarre estremo vantaggio dalla caduta dell’URSS attraverso la speculazione edilizia e la criminalità organizzata. Sono creature inveterate, fin troppo nette e consolidate per poter garantire alla città quel costante ricambio culturale che pare contraddistinguerla da sempre.

Sweety, Ninja e Gino sono invece tre giovani che stanno vivendo un momento di transizione: l’ingresso in una realtà culturalmente estranea, a tratti pericolosa, ma soprattutto stimolante. È quasi un rito di passaggio: citando un brillantissimo Emilio De Marchi, si tratta di tornare indietro a una prematura adolescenza, che risveglia una purezza caratteriale denotata da sogni e tanta voglia di vivere. Farsi strada con le proprie forze è certamente difficile, ma con la giusta fiducia in sé si può diventare grandi senza perdere quella divertente e intrinseca vitalità.

Ma tu…vuò fa’ l’americano?

L’immigrazione e la gentrificazione sono temi molto cari a Gianluca; infatti, fin dal suo primissimo cortometraggio, Finimondo (2000), e in alcuni successivi lavori si vedono i prodromi di un’indagine riflessiva che vuole sradicare qualsiasi luogo comune e andare dritto al cuore della realtà, mostrando tutti i pregi e i difetti dell’essere anime pure in terra straniera.

Ma non è solo questo: la complessità critica e intellettuale di The Woddafucka Thing sta anche nella resa di un’evidente evoluzione sociale e contemplativa, che Vallero ha nutrito e materializzato grazie alla sua personale esperienza di una città sì cara ma destinata a sparire, o meglio, a rinnovarsi costantemente, costringendo dunque non solo Gianluca ma anche la nuova generazione di immigrati a cambiare prospettiva e a trovare nuove e coerenti soluzioni.

E ciò è perfettamente chiaro nella scelta stilistica del bianco e nero curato dal direttore della fotografia Francisco Dominguez: fermare nel tempo un’immagine, e dunque dei valori, della città, mostrando così una Berlino asettica, mancante di una bussola da seguire, ma che forse può ancora essere trovata nella passionalità di chi quella città vuole conquistarsela.

Infatti, in alcune sequenze precise c’è un vivido rosso che pare prendere forma e impadronirsi gradualmente dell’inquadratura. Una scelta curiosa e azzeccata perché funzionale su due piani:

  • Quello tecnico: il rosso evidenzia e “stacca” nettamente quelli che sono flashback e flashforward;
  • Quello che chiamerei “spirituale”: il rosso è il colore della passione e di quella bandiera a cui allude chiaramente Mr. Klotz in una scena del film. È il segno evidente di quella giocosa estraneità che i tre protagonisti del film nutrono nei confronti di un modus vivendi cinico e corrotto, lontano dalle loro concezioni.

In quest’ultima ottica parrebbe muoversi anche la colonna sonora: i suoni rifatti in studio e una musica groovy/hip hop dai tratti underground accompagnano diegeticamente le disavventure di Sweety, Ninja e Gino, cogliendone i tratti essenziali e diffondendoli nell’ambiente anodino e marcio, specialmente attraverso la programmazione radiofonica di Radio Berlin International.

La radio è sicuramente un elemento da non trascurare: è stata una tappa fondamentale della vita di Gianluca, e qui diventa uno strumento potenzialmente sovversivo, capace di insinuarsi nell’inquadratura come fosse anch’essa un colore. Una soluzione stilistica perfetta per delineare i nostri compassionevoli protagonisti, separandoli nettamente dall’enigmatico Boss e l’efferata coppia di agenti immobiliari, i quali sono invece accompagnati da una musica sinfonica e fuori dal tempo.

Goethe aveva ragione…anzi, no!

“Perché io sono parte di quella forza che vuole sempre il bene, e opera sempre il male.” È il Faust di Goethe, giusto? Non proprio… o per lo meno, lui non l’aveva scritta così!

Se si dovesse sintetizzare il film in una frase, beh, questa garantirebbe certamente l’effetto e un’appropriata valutazione morale. Ammettiamolo, siamo tutti un po’ come miss Italia: pace nel mondo, scomparsa di fame e malattie, uguaglianza e fratellanza per tutti… ma la faccenda non è mai così semplice, purtroppo. Ad ogni azione corrisponde una reazione, e spesso il bene è perseguibile solo attraverso azioni efferate ed eticamente deplorevoli.

La vita si mostra inevitabilmente più complicata di quello che vorremmo; e per quanto la nostra anima voglia continuare a sperare e sognare, prima o poi deve svegliarsi e fare i conti con la realtà, sempre pronta a riempirci di pugni. E qui le opzioni sono due: o incassi e vai al tappeto, oppure ti alzi e reagisci usando le stesse armi, che ti piaccia o meno.

The Woddafucka thing è un prodotto culturalmente e stilisticamente significativo, che dimostra un’ottima capacità critica e una preparazione cinematografica e biografica profonde. Vallero ci ha mostrato attraverso i filtri dei nostri tempi che cosa significa essere come lui e seguirlo in precise scelte. Forse la bandiera della libertà ancora non ha trovato il suo pennone, ma è la forza di volontà di anime pure e gentili che permette al mondo, e anche a Berlino, di rinnovarsi e crescere.

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The Woddafucka Thing

  • Anno: 2022
  • Durata: 86 min
  • Distribuzione: Label Noir
  • Genere: commedia/azione
  • Nazionalita: Germania
  • Regia: Gianluca Vallero
  • Data di uscita: 14-April-2023