In concorso al Sundance Film Festival, il lituano Slow è un delicato racconto di vita, dentro il quale due esistenze si incontrano e cambiano per sempre.
Presentato al Sundance Film Festival, in concorso nella sezione World Cinema Dramatic Competition, Slow riporta dietro la macchina da presa una cineasta giovane e promettente, che risponde al nome di Marija Kavtaradze. Lituana di origini, classe 1991, la regista e sceneggiatrice confeziona un’opera di una dolcezza stravolgente, su un’umanità sorpresa dalla vita.
Dopo il debutto nel 2018, con Summer Survivors – passato al Toronto Film Festival – Slow conferma le potenzialità della Kavtaradze, come autrice innanzitutto, ma anche come narratrice di storie esistenziali e potenti.
Slow | La trama del film in concorso al Sundance Film Festival
Elena (Greta Grineviciute) è una ballerina di danza contemporanea, Dovydas (Kestutis Cicenas) lavora come interprete della lingua dei segni. I due si incontrano il giorno in cui Elena inizia un corso per ragazzi non udenti e Dovydas la aiuta a comunicare con i suoi alunni.
Lo scopo della classe è di raggiungere una padronanza e una consapevolezza del proprio corpo che permetta di esprimersi, al di là delle semplici parole. Lo step finale sarà un’esibizione in un campeggio al mare. Durante il percorso affrontato insieme, Elena e Dovydas cominciano a provare qualcosa l’una per l’altro.
Le cose procedono in maniera graduale e sincera, almeno sino a quando Dovydas confessa a Elena di essere asessuale. La donna non sa bene come comportarsi, ma vuole continuare a stare con lui, nonostante le difficoltà e le incomprensioni.
Emozioni in danza
Slow è uno di quei film che è difficile incontrare nelle sale, che non incontra il gusto di tutti e che, di certo, si distingue dalla media del genere. La forza sta proprio in questa unicità. La delicatezza che caratterizza la storia e i personaggi che la popolano ne diviene un tratto distintivo. Ogni gesto assume una particolare valenza, ed è chiaro da come la macchina da presa lo segue.
Mani, braccia, fianchi, la totalità del corpo esprime, o meglio libera, il sentimento contenuto in esso. I dettagli avvicinano e spingono a percepire tangibilmemente un’energia vitale spesso irrefrenabile. Le emozioni hanno bisogno di un canale attraverso cui liberarsi. Soprattutto quando non è possibile farlo a parole, per non rischiare di ferire chi si ama e non si capisce.
Non posso scusarmi ogni volta.
Elena prova un sentimento vero per Dovydas, profondo e nuovo. Quando lo vede la prima volta, ha la sensazione di conoscerlo da sempre. E lo stesso vale per lui, immediatamente affascinato dalla donna e dal suo modo di fare. Sebbene sulla stessa lunghezza d’onda, i due camminano su un terreno fragile e complicato.
La loro relazione tocca dei picchi incredibili, ma non viene mai meno la sensazione di trovarsi dinanzi a una situazione realistica. I protagonisti vivono una storia intensa, che li cambierà entrambi, mostrandogli anche una nuova prospettiva da cui osservare il mondo.
Una visione che arricchisce
Slow si fonda, ovviamente, su una scrittura personale, solida, dove lavorano sensibilità, consapevolezza, carattere. La Kavtaradze sceglie di ritrarre una coppia nei suoi momenti più intimi, non per forza i migliori, ma sicuramente i più sinceri e significativi.
Nel farlo, i tasselli del passato si uniscono, andando a delineare due esseri umani adulti, strutturati, ma sorpresi dalla vita. Nessuno dei due stava infatti cercando l’amore, anzi. L’incontro, casuale o dettato dal destino che si voglia credere, avviene all’improvviso e sconvolge le esistenze.
Questa vita non si adatta a tutti.
E la bellezza della pellicola sta anche nella resa scenica: grazie a elementi quali la musica, l’acqua, la spiritualità, si viene immersi e avvolti dal racconto. La finzione si fa sostanza. E dalla visione si esce, in qualche modo, arricchiti.
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