M3gan è un film diretto da Gerard Jhonston, prodotto dalla Blumhouse e distribuito dalla Universal Pictures.
Dopo il discreto risultato nelle sale, il film è disponibile in streaming su SKY e NOW TV, e dal 9 luglio 2024 anche sul colosso dello streaming Netflix.
M3gan LA TRAMA
È più di una semplice bambola. Fa parte della famiglia. M3GAN è una meraviglia di intelligenza artificiale, una bambola a grandezza naturale programmata per essere la più grande compagna dei bambini e la più grande alleata dei genitori. Progettata da Gemma (Allison Williams del Get Out di Jordan Peele), brillante robotica di un’azienda di giocattoli, M3GAN è in grado di ascoltare, guardare e imparare, diventando amica e insegnante, compagna di giochi e protettrice del bambino a cui è legata. Quando Gemma diventa improvvisamente la tutrice della nipote orfana di otto anni, Cady, è insicura e impreparata a diventare genitore. Sottoposta a forti pressioni sul lavoro, Gemma decide di abbinare il suo prototipo M3GAN con Cady nel tentativo di risolvere entrambi i problemi: una decisione che avrà conseguenze inimmaginabili.
LA RECENSIONE
Ecco cosa succede a fare sempre bene.
La Blumhouse è diventato, dagli anni Zero, sinonimo di horror spaventoso e di qualità. Opere come Paranormal Activity, Dark Skies, Le Streghe di Salem, Oculus, hanno mostrato che si poteva raccontare (e fare) la paura su grande schermo senza sbracarsi in soluzioni facili e momentanee, ma anzi raccontando storie originali che spesso e volentieri si volevano riallacciare alla contemporaneità, mostrandone aspetti controversi – che poi è da sempre il compito del genere.
Si è imbarcato nell’impresa anche James Wan, che con tre franchise di successo globale come Saw, Insidious e The conjuring ha creato nuovi prototipi che si sono velocemente imposti sul mercato, creando imitatori.
Inevitabile che le aspettative fossero altissime.
M3gan doveva essere, nelle intenzioni di critica e pubblico, qualcosa di epocale che aggiornasse la narrazione della bambola assassina automatizzandola al passo dei tempi: ma è stato accolto con freddezza, e gli incassi hanno subito un brusco stop. L’accusa più comune, e anche più fondata, è che non crea tensione; la trama -dello stesso Wan e di Akela Cooper– è prevedibile e tutto il film è un continuo rimandare che non riesce a costruire un percorso drammaturgico con l’acme proprio del film dell’orrore.
Certo è che l’occasione era molto ghiotta, perché da Tod Browning con la sua Bambola Del Diavolo ci sono stati tanti aggiornamenti, tutti egualmente importanti: da, ovviamente, Chucky e i suoi epigoni a Dolls di Stuart Gordon, fino a Trilogia del Terrore di Dan Curtis. Eppure, M3gan non riesce mai ad avere quella forza dirompente che deve avere uno zeitgeist, volendo spingere un po’ criticamente, e induce il critico/spettatore più smaliziato a capire fin dai primi cinque minuti dove si andrà a parare e come.
È possibile allora che un piccolo genio come Wan abbia preso una buca così grossa? Eppure la Cooper aveva messo mano anche a quel gioiello che è Malignant, sorprendente rilettura di un altro topos come la possessione, sfilacciato, anarchico e ossessivo.
Probabilmente, allora, la Blumhouse e la complicità del regista di Insidious hanno provato a conquistare altri immaginari: perché se M3gan non fa paura, sembra invece un vertiginoso, pruriginoso horror per famiglie.
Fin da The Conjuring l’obiettivo era dichiarato, ovvero creare un blockbuster in un contesto horror, guardando da dentro alle dinamiche tipiche ma riflettendoci sopra, non rinunciare allo spavento ma soprattutto cercare e trovare nuove possibilità narrative, spazi estetici da conquistare e colonizzare, all’interno di un genere abusato e sempre fortemente a rischio deja-vu.
Se però il citato Malignant correva furioso verso l’obiettivo, deragliando periodicamente per pescare qua e là in uno psicologismo che seppure d’accatto era efficace e arrivava al punto, M3gan sembra iniziare bene ma perdersi subito nelle sue eccessive circonvoluzioni, magari annaspando in un territorio così sconosciuto da perdere lui stesso la direzione.
Accarezzando imprevedibilmente -e questo è una suggestione geniale- l’emozione della perdita, il dolore del lutto, la negazione umanistica della morte. Ma subito dopo quest’intuizione veloce, correre via senza sapere come sfruttarla e unirla alla trama.
C’è insomma un sapore laboratoriale, la prospettiva di un cantiere aperto che apre nuovi orizzonti ma non ha le chiavi e i modi di entrarci per esplorarli.
Di seguito, il trailer ufficiale
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