Malinconico e struggente nelle verità che lascia.
Phil (un Bouli Lanners appieno dentro il suo personaggio) è un ultracinquantenne che ha messo da qualche anno le sue radici nell’isola di Lewis: una terra di Scozia che vive dei propri riti, religiosi e campestri, dove i giorni scorrono uguali e solitari. Phil è un uomo libero, votato solo a se stesso. Non sappiamo molto del suo passato: il corpo tatuato rivela vissuti immaginari e probabili, senza alcuna certezza. Lavora in una fattoria di proprietà di una famiglia di protestanti, con un patriarca aspro ma sincero.
Di domenica la comunità si ferma per la messa e Phil preferisce il mare e la bellezza selvaggia della costa. Un ictus, lo coglie, improvviso, sulla spiaggia, da solo. Si salva, ma con un’amnesia totale e temporale: impossibile stabilire quando l’uomo tornerà a ricordare. Millie (una toccante Michelle Fairley), la matura figlia del proprietario della fattoria, se ne prenderà cura: Phil è vulnerabile e smarrito: le chiede chi sia.
Millie è una bella donna. Indossa i segni del tempo trascorso, è nubile. ‘La regina di ghiaccio’, questo il soprannome affibbiatole da una comunità spietata nell’isolare chi non si conforma a un matrimonio e a dei figli. La sua condizione non è semplice. Devastata nell’intimo da una voglia tanto di riscatto sociale quanto di pienezza sessuale e sentimentale, approfitta della debolezza di Phil, dichiarandosi a lui con una bugia. Tra i due nascerà un amore complice e segreto, che Phil vorrebbe esternare, condividere con la comunità. Il castello costruito su una bugia, all’improvviso si sfalda. Cosa succederà ai due amanti, adesso?
Una storia d’amore che non si è abituati a vedere
Bouli Lanners è stato folgorato dall’idea di voler rappresentare un amore tra persone ‘reali’, ‘normali’: non particolarmente belle, non più giovani. Con destini obliqui a cui non ci si può sottrarre. Segnati nel bene e nel male da loro stessi.
Nessuno deve sapere è un film riuscito che ha il pregio di mostrare l’invisibile partendo da un reale appena accennato. Sia visivamente: scegliendo una location capace di per sé di trasmettere atemporalità, isolamento, costrizione, dolore sordo e malinconico, oltre alla struggente bellezza di una natura scarna e selvaggia. Sia dentro la contrapposizione emotiva tra la rigida morale protestante e la trasgressione di quelle regole a cui si fa fatica a rinunciare, se non mentendo e portandosi addosso un profondo senso di vergogna.
Dialoghi essenziali, una umanità trattenuta, composta, la ricerca di un Dio che domina l’esistenza ed è impossibile raggiungere, la morte che arriva silenziosa e pura, l’amore che giunge di traverso e cambia per sempre una vita. Che dà un senso a tutto quel percorso tortuoso, tormentato, doloroso. Si possono mettere radici anche alla fine di una vita, dentro un luogo isolato e remoto ed essere pienamente felici ed appagati per la prima volta.
Nessuno deve sapere dal 1° dicembre è al cinema con Kitchen Film.
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