Eredità, potere e giustizia al centro di queste ultime puntate di See, una delle prime serie televisive prodotte da Apple TV+ e con protagonista Jason Momoa.
A seguito degli ultimi avvenimenti causati dalla guerra tra il regno di Payan e l’armata dei trivantiani, l’equilibrio del mondo viene di nuovo messo in discussione attraverso ulteriori minacce che si aggiungono agli scontri interni e agli intrighi legati al potere, come nel caso della sorella minore Maghra e Sibet, l’attuale regina che non sembra intenzionata a mollare il trono.
See 3, la recensione
Sono molto spesso le ultime puntate a decretare il successo di una serie. Non è tanto un discorso di ascolti, quanto della sua riuscita sotto l’aspetto estetico e narrativo. See 3, dopo due stagioni piacevoli che scontano le somiglianze con altre produzioni (come A Quiet Place o Bird Box), si trova a dover portare avanti questo enorme peso, essendo una delle prime scommesse di Apple. La scelta del cast non lasciava dubbi, con Jason Momoa che, reduce da successi come Il trono di spade e Aquaman, si trovava di nuovo a vestire i panni di un personaggio al centro di un racconto distopico, dove l’integrità – fisica e morale – si è deteriorata, partendo ovviamente dalla vista, metafora perfetta dei temi affrontati dalla serie.
Punti di vista
Steven Knight ci ha del resto abituati a serie di un certo spessore (Peaky Blinders,Taboo e al cinema con Locke e Lapromessa dell’assassino). E da questo punto di vista See conferma la sua solidità in termini narrativi, guardando ad esempio ai conflitti che si creano all’interno del regno (e non solo nel palazzo) e all’esterno, con ulteriori minacce che si aggiungono ai rischi di instabilità nel mondo.
Baba Voss ha scelto di non farne parte, ma nel pieno di questa crisi le due sorelle (Maghra e Sibet) devono decidere se la famiglia vale più delle sorti di Payan. Tra compromessi, mosse avventate e colpi di scena le pedine della scacchiera si muovono su più fronti, sbilanciando la pace verso il caos e la desolazione. Una delle cose che più si apprezza della serie è proprio il tema della vista. Non solo come filtro necessario per osservare il mondo, ma come strumento per comprendere le sue dinamiche. Seppur con le dovute eccezioni (come il protagonista, chiaro), chi non ci vede ha difficoltà ad ascoltare chi ha davanti. O meglio, non vuole accettare la diversità di vedute, rifiutando ogni gradazione.
Gli opposti
Bianco e nero, insomma. Chi ha la vista – in questo caso come difetto – deve nascondersi da chi rifiuta ciecamente quel dono che solo pochi hanno. Nessuna convivenza sembra essere possibile visto che sia da una parte sia dall’altra c’è chi cerca di soffiare sul fuoco, alimentando discordie e dissapori. In questo la frammentazione del trono, diviso tra chi cerca la pace (Maghra) e chi cerca la guerra (Sibet) rispecchia l’intero percorso narrativo di See, ambientato in una società tra il fantasy e il gotico, ma con diversi elementi che si riallacciano alla società che conosciamo.
Ottimi gli attori (da Momoa a Sylvia Hoeks e Hera Hilmar); straordinari gli autori che hanno lavorato alla serie dalla scenografia al montaggio, fino a quel tocco di malinconia trasmessa dalla fotografia dall’inizio alla fine.