‘Frank’: quando il peso insormontabile del proprio ego esige l’uso di una maschera
L'eccentrico Frank del regista Abrahamson costituisce per Michael Fassbender, divo che deve ai bei tratti fisici che lo contraddistinguono parte del successo guadagnato in vent'anni e più di carriera, una scommessa inedita e per nulla scontata, ove l'attore cancella ogni traccia del suo regale portamento per trincerarsi dietro i connotati di una maschera bonaria quanto inespressiva. In un film pieno di ritmo e di vita in cui l'umore e la gestualità hanno la meglio sulla semplice linearità di una espressività condizionata dalla bellezza dei tratti.
Su MUBI, il sito di cinema d’autore fruibile a mezzo streaming, è possibile vedere Frank, uno dei film più curiosi e strambi della carriera del regista cinematografico e di serial Lenny Abrahamson.
Un regista consacratosi agli onori della critica e del pubblico in modo definitivo l’anno successivo a questo film, ovvero nel 2015, con quel celebrato ed inquietante Room, con cui la bravissima Brie Larson si guadagnò un meritato Oscar come miglior attrice protagonista.
Frank – la trama
Nel 2014 Lenny Abrahamson dirige una buffa, stramba, ma non banale commedia musicale incentrata su un gruppo alternativo in cerca di successo…ma soprattutto su un tastierista (interpretato da Domhnall Gleeson) intento ad affrontare alcune serie problematiche, dopo che i colleghi che lo hanno preceduto in quel ruolo hanno sofferto di più o meno gravi problemi moral-depressivi, che hanno reso impossibile per ciascuno integrarsi stabilmente tra gli elementi balordi della band.
Tra questi, non è tanto una sclerata e irosa batterista (Maggie Gyllenhaal) a risaltare, e nemmeno un manager finito in terapia e in una clinica per la smania di avere rapporti sessuali unicamente con manichini, quanto il misterioso e indecifrabile leader della band.
Frank appunto (Michael Fassbender impegnato nel ruolo più eccentrico e sadicamente per nulla scontato, anzi sfidante, di tutta la sua brillante carriera), talentuoso quanto incompreso musicista, che da anni cela le sue peculiarità dietro una buffa maschera gigante da bambino con gli occhi sgranati in una perenne espressione di stupore compiaciuto, imbarazzante, se non proprio allarmante.
Almeno questo è ciò che prova il nuovo tastierista ingaggiato per caso un giorno sulle rive del mare, dopo il tentato buffo suicidio del precedente musicista, e finito per auto candidarsi al ruolo di membro effettivo di quella strana ed egocentrica band.
“Per me è sempre meglio dire tutto: perché nascondersi?”
Jon, questo il nome del protagonista di pelo rosso, impiega un po’ di tempo per adattarsi alle stranezze di quel gruppo mal assortito ed eterogeneo, capace di sviluppare un percorso musicale sin troppo alternativo, che gli impedisce di esplodere e godere del successo.
Ma in occasione di un raduno in campagna, organizzato per registrare l’ultimo disco, la presenza di Jon, con la sua musica facile, le sue creazioni un po’ infantili, costituirà un tentativo per aprire la strada alla band verso un pubblico meno scelto che possa sdoganare il complesso verso un’ utenza meno di nicchia.
Ma soprattutto, per ognuno dei membri, Frank sarà l’occasione per tirar fuori finalmente tutte le fobie e le paure che hanno reso unica quella band, con i suoi membri maniacali, tendenti alla depressione come viatico per la creatività ed eternamente posti in conflitto col resto del mondo, impreparati ad auto-accettarsi, a credere in se stessi, a prendere coscienza senza complessi, anche solo dei propri tratti fisici.
Frank – la recensione
Lenny Abrahamson, conosciuto con l’ottimo Garage e riconfermatosi regista di spessore qualche anno più tardi con l’altrettanto drammatico film sull’espiazione e sulla colpa che schiaccia come un macigno, epicentro del successivo What Richard did (entrambi presentati al TFF, ove Garage vinse come miglior film del concorso opere prime e seconde), torna a far parlare di sé con l’eccentrico Frank.
Per Michael Fassbender,Frank rappresenta una scommessa coraggiosa e tutto fuorché scontata.
L’opportunità per un attore talentuoso, ma indubbiamente dotato di una prestanza fisica e di un volto che piace e che lo ha aiutato non poco ad emergere sino a diventare un star incontrastata tra fine anni ’90 e tutti i primi anni ’10, di dimostrare che si può recitare anche con il resto del corpo e non solo con l’affascinante viso che trascina folle di ammiratrici ed ammiratori, non è certo un’impresa da poco.
Soprattutto se si deve recitare lungo tutto il film con una maschera dai connotati così scientemente banali e irritanti, come quelli entro cui si cela meticolosamente il musicista Frank.
Per gli ammiratori di Fassbender, Frank diventa uno strumento lesionista, sadico o quasi di tortura, potendo costoro contare solo sulla voce riconoscibile della star (qualora non doppiata come è avvenuto da noi nella fruizione in sala), in una circostanza sadicamente prolungata, che offre al pubblico solo una breve concessione nell’ultimissima parte dove il celebre volto dell’attore torna a fare capolino.
Ma il carisma del celebre attore riesce ugualmente a emergere, cimentandosi anche a cantare e ostentando per l’occasione un timbro tenebroso, sicuro e coinvolgente.
Domhnall Gleeson, figlio di Brendan, in quegli anni stava emergendo film dopo film, verso una certa, consolidata notorietà, qui appare spigliato e simpatico.
La versione italiana apparsa al cinema, che doppiò persino le canzoni create da Jon, banalizza e appiattisce il film, annientando totalmente la performance di Fassbender, la cui presenza effettiva, carisma a parte, si riduce per questo motivo unicamente agli ultimi cinque minuti.
MUBI, invece, come è sacrosanta e saggia abitudine, offre il film in versione originale con i sottotitoli in lingua originale o in italiano.
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