In esclusiva su MUBI, Pleasure (2021) di Ninja Thyberg, esordio nel lungometraggio della giovane regista svedese già ampiamente applaudito al Festival di Cannes 2021 e al Sundance Film Festival.
La potenza e l’originalità della pellicola non stanno nell’argomento trattato (l’hard-core), già scandagliato in passato da altre pellicole, e nemmeno nella parabola della protagonista, poiché anch’essa già sfruttata, ma per come la Thyberg si approccia all’ambiente del porno, affrontandolo con lucidità e, soprattutto, con sguardo femminista.
Una visione impietosa e demitizzante, ma al contempo di grande onestà intellettuale.
Pleasure, la trama
Linnéa (Sofia Kappel), arriva a Los Angeles dalla Svezia con il sogno di diventare la prossima superstar del porno. Man mano che la sua ambizione sfrenata la conduce in territori sempre più pericolosi, Bella fatica a conciliare i suoi sogni di emancipazione con le realtà del lato più oscuro di questo settore.
Inside the hardcore
[…] lavoriamo intorno al buco del culo, con tutto quello che ne esce fuori o quello che ne va dentro […]
Questo è quanto sentenziava Joe D’Amato, AKA Aristide Masseccesi (1936-1999) nel documentario biografico Joe D’Amato Totally Uncut (1999), diretto Roger A. Fratter (1999). Parole certamente grevi, ma che compendiano perfettamente il senso di quel tipo di produzioni, che per quanti accorgimenti artistici le si voglia dare, sono tutte focalizzate sugli orifizi anatomici.
Il rozzo verdetto, però, si adagia bene anche alle intenzioni più accurate e acute della Thyberg, che vuole mostrare, a volte con toni sferzanti, codici e rituali di quel mondo mercificante, in cui le donne sono oggetti sessuali.
Il cinema mainstream ha sovente mostrato una fascinazione per quest’altra tipologia di cinema parallela e spesso sotterranea, spingendo gli autori a gettarsi nell’ambiente e trarne delle conclusioni. Boogie Nights – L’altra Hollywood (Boogie Nights, 1997), Guardami (1999) di Davide Ferrario, Le pornographe (2001) di Bertrand Bonello, a cui bisogna aggiungere i più lontani Il pornografo (Inserts, 1975) di John Byrum e Hardcore (1978) di Paul Schrader sono gli esempi più vividi, sebbene con risultati alterni.
Pleasure è avvicinabile a Guardami, con cui Ferrario, prendendo anche spunto dalle vicende della malattia di Moana Pozzi (1961-1964), cercava di fare una ricognizione nell’ambiente pornografico italiano. In sintesi: produttori satiri, attori non sempre in tiro, registi con il vezzo autoriale (l’alter ego di Joe D’Amato è interpretato dal regista Antonello Grimaldi) e spettatori sbavanti al cospetto delle pornostar durante le loro kermesse. Uno sguardo neutro, che in un certo qual modo assolveva l’industria del porno, poiché tutti – o quasi – sono consapevoli di ciò che fanno, e smessa la scena e rimessi i vestiti, tornano alla loro tranquilla vita privata.
La Thyberg, invece, senza cadere in un discorso moraleggiante, spinge sulla smitizzazione dell’ambiente, mettendo in rilievo come l’industria porno sia totalmente ad appannaggio degli uomini, sia per quanto riguarda l’ambito produttivo, sia per il fruitore finale dei video realizzati; i filmini sono prodotti che seguono gusti e perversioni dei maschi, anche i lesbo sono mirati a sollazzare gli uomini.
Le donne che lavorano nell’hard, siano esse attrici (accettano di girare quello che gli viene richiesto) o registe/produttrici (realizzano anche video palesemente degradanti per il genere femminile), tollerano quelle regole senza battere ciglio. L’unica che si “ribella”, Joy (Zelda Morrison, vera pornostar), difficilmente potrà avere un futuro e fare carriera nell’hard.
Pleasure, nel porno senza hard-core
Sceneggiato assieme a Peter Modestij, Pleasure è uno sviluppo dell’omonimo cortometraggio che la Thyberg aveva realizzato nel 2013, scritto sempre con Modestij, e con cui vinse a Cannes. In quello short, la trama ruotava intorno alla giovane Mary (Jenny Hutton) che, per non perdere il lavoro, sebbene con molte rimostranze, accettava di girare una scena esageratamente hard.
Questa scena viene ripresa nel film, e ha la stessa valenza dell’originale: Bella Cherry si propone di girarla, gratuitamente, per conservare il posto e dimostrare che ha le capacità di una vera pornostar. Ma il DAP (Double Anal Penetration) è soltanto uno dei generi affrontati nel film, come il BDSM (Bondage & Discipline) e il Rape. Generi che sono tappe qualificanti per Bella Cherry (dopo il DAP acquisisce credito presso i produttori), ma degradanti per Linnéa, che si sente sempre più umiliata, tra sputi e schiaffi.
La Thyberg, nel ricreare questi generi, non mostra assolutamente le penetrazioni, vere peculiarità che differenziano un soft da un hard. In Pleasure fa vedere soltanto le violenze fisiche recitate che la protagonista subisce, in modo tale che possa risaltare il piacere malsano nel vedere la donna maltrattata. Azioni che normalmente non hanno nulla di erotico e, anzi, solleticano la perversione di quegli uomini che vogliono vedere mortificare la donna.
Al medesimo tempo, la Thyberg mostra soltanto i membri degli attori. Da un lato, perché Sofia Kappel non è un’attrice porno, dall’altro questa scelta stilistica si rivela efficace per non creare a propria volta un porno (che fornirebbe squallide clip in cui la Kappel diverrebbe oggetto sessuale per i pornomani) e per evidenziare come sia un ambiente prettamente fallocratico.
In questo caso, la regista pare che si diverta a “infierire” sulle situazioni di scaricamento erettile degli uomini. Una vera smitizzazione del turgido vigore dei pornoattori.
Sofia Kappel, al suo esordio cinematografico, fornisce un’eccezionale prova attoriale. Sebbene non affronti scene pornografiche, a differenza di Elisabetta Cavallotti che in Guardami coraggiosamente le fece, ma le “troncarono” la carriera, la giovane attrice segue il tour de force fisico e psicologico di Bella Cherry. Legature, schiaffi, posizioni sessuali compromettenti, vicinanza con veri membri maschili, e trucchi scenici che ricreano lo sperma sul viso. Ma la Thyberg, benché la Kappel sia spesso completamente nuda, non la inquadra mai full frontal, proprio per privare allo sguardo – maschile – l’organo femminile.
La messa in scena della DAP, in questo caso, è un ottimo esempio, anche perché sembra citare criticamente quella di Nymphomaniac(2013) di Lars Von Trier. Il regista danese, utilizzando i prodigi della Computer Grafica, faceva credere che Charlotte Gainsbourg stesse realmente facendo sesso con due neri. Una scena certamente stupefacente e che rimarrà nella memoria; un semplice esercizio di scandalo a buon mercato, però, come è d’uso per Von Trier.
Ma la “simbiosi” con il cinema porno odierno si ha con la messa in scena. La fotografia, curata da Sophie Winqvist, riproduce esattamente quella ultra-patinata grana video delle produzioni hard, tipo la Evil Angel o la Pinko. Un’impostazione stilistica che mette ancor più in luce l’aspetto asettico che soggiace in quell’ambiente. Come l’incipit, nel quale su schermo nero si sente soltanto il Dirty Talk degli attori in azione, che pronunciano le solite frasi con enfasi calcolata.
Bella Cherry e il sogno americano
Linnéa giunge a Los Angeles, terra propizia delle produzioni hard, perché anche lei desidera un pezzetto di sogno americano, e per accedervi decide di dedicarsi al porno. L’industria hard-core, ormai quasi totalmente passata sul web, fattura oltre 100 miliardi di dollari annui. La decantata crisi, che colpirebbe il settore da molti anni, è un’esagerazione degli stessi addetti ai lavori.
Ma perché Linnéa vuole fare la pornostar? Nel dialogo con Bear, dopo la sua prima scena hard, la protagonista gli dice che ha deciso di dedicarsi al porno per traumi sessuali subiti in famiglia e poi per ninfomania. Ma il ben più navigato Bear la smaschera rapidamente. Sono due luoghi comuni, certamente in molti casi alla base di tale scelta di professionismo per molte star del settore; però la vera motivazione che spinge Linnéa a divenire pornostar è ottenere successo ed essere venerata.
A tal proposito, è utile (ri)vedere Sex – The Annabel Chong Story (1998) di Gough Lewis. Al netto delle qualità del prodotto, questo documentario è un reperto che attesta una delle più folli ed egocentriche attuazioni da parte di una pornostar, che per ottenere i famigerati 15 minuti di gloria e passare alla storia, è disposta a far sesso con ben 251 uomini nell’arco di dieci ore.
La parabola della protagonista non è dissimile da quella di Nomi Malone (Elizabeth Berkley) in Showgirls (1995) di Paul Verhoeven. Come lei, anche Linnéa, giungendo nella grande città, è convinta che saprà gestire tutto quello che potrà accadere e raggiungere facilmente la gloria, ma sbaglia pienamente, poiché tra le prime qualità necessarie per resistere nell’ambiente, c’è quella di non avere un’anima. Nelle battute finali, in cui può confrontarsi in parità con la rivale Ava (Evelyn Claire, vera pornostar), riuscendo anche a sottometterla (così crede), comprende la reale consistenza dell’ambiente hard, e quale prezzo dovrebbe pagare per andare avanti.
Scrivere in una rivista di cinema. Il tuo momento é adesso!
Candidati per provare a entrare nel nostro Global Team scrivendo a direzione@taxidrivers.it Oggetto: Candidatura Taxi drivers