Una vera e propria saga familiare, quella raccontata nel film iraniano Leila e i suoi fratelli (Leila’s brothers,) diretto dal giovane regista Saeed Roustaee, dove l’unica figlia femmina, Leila, single 40enne, cerca di combattere il lassismo e la disoccupazione dei quattro fratelli maschi, acquistando una piccola boutique in un centro commerciale di lusso, che dovrebbe assicurare una rendita sicura a tutti i fratelli e ripianare i debiti della famiglia intera. Ma le tradizioni arcaiche e patriarcali, ed i sogni di gloria del vecchio padre egoista, metteranno i bastoni fra le ruote al piano di Leila, in un Paese schiacciato nella morsa dalle sanzioni economiche internazionali. Il film ha ottenuto un importante riconoscimento conquistando il Premio FIPRESCI assegnato dalla giuria della critica internazionale fra i film in competizione a Cannes.
Distribuito in sala da I Wonder Pictures.
Leila e i suoi fratelli la trama
Leila ha 40 anni e vive a casa, dove ha passato tutta la vita a prendersi cura dei suoi genitori e dei suoi quattro fratelli. Non si è mai sposata perché il padre, vecchio ed egoista, aspirava per lei ad un matrimonio che sistemasse economicamente la famiglia: all’unico pretendente che piaceva alla figlia, il padre raccontò la bugia che Leila era molto malata e che non conveniva sposarla. La donna ha un ottimo lavoro presso un centro commerciale, con un salario buono e sicuro; al contrario, i suoi quattro fratelli, per un motivo o per l’altro, sono senza lavoro o sfaccendati: Parviz (Farhad Aslani) ha cinque figlie femmine e pulisce i bagni aspettando il figlio maschio; Alireza (Navid Mohammadzadeh), è operaio in una fabbrica che sta chiudendo e preferisce fuggire piuttosto che lottare per il salario; il terzo figlio Manouchehr (Payman Maadi) intrallazza in un giro poco legale di macchine o altro, e l’ultimo, Farhad (Mohammad Ali Mohammadi), sta a casa a guardare le partite di wrestling.
La famiglia litiga costantemente ed è schiacciata dai debiti, il Paese non offre lavori o soluzioni: mentre i suoi fratelli cercano di sbarcare il lunario, Leila concepisce un piano che salverebbe tutti dalla povertà: avviare un’impresa di famiglia comprando una boutique.
Affari di famiglia
Il film ha il chiaro intento di raccontare l’Iran odierno e la sua crisi economica, dovuta in parte alle sanzioni economiche internazionali, in parte legata a problemi interni allo Stato stesso, e vuole farlo raccontando la storia di una famiglia-tipo, nella quale però gli uomini sono irresoluti se non dannosi mentre Leila (eccezionale l’attrice Taraneh Alidoosti) l’unica figlia femmina, incarna la modernità, il lavoro ed il senso del costruire, lo sguardo al futuro. Riuscita faticosamente a convincere i fratelli ad investire ciascuno il poco che ha nell’acquisto della boutique, Leila scopre che il padre Esmail (l’anziano attore Saeed Poursamimih, perfetto nella parte) ha nascosto segretamente un costoso cimelio di famiglia, conservato come offerta per diventare, al matrimonio del figlio di un cugino (che lo ha sempre ignorato ed umiliato), il nuovo Patriarca del clan, il più alto onore nella tradizione persiana. Questa scoperta porterà il caos nelle già fragili dinamiche familiari: Leila si ribella a questa ‘offerta’ che ritiene un assurdo spreco, mentre i suoi fratelli hanno un disperato bisogno di sostegno finanziario. Man mano che la salute del padre peggiora, le azioni di ogni membro della famiglia porteranno gradualmente la famiglia un passo più vicino all’implosione.
Leila e i suoi fratelli: Una società patriarcale e insalubre, che schiaccia le donne
L’intento del regista – interessato ai temi relativi alla giustizia sociale – era certamente quello di raccontare una storia alla Farhadi, che dal privato di estende ad una riflessione sul pubblico, sull’Iran e sulle sue criticità, ma il film, specialmente nella prima parte, risulta piuttosto lento e faticoso, a tratti quasi noioso per il reiterarsi di momenti simili, conciliaboli, discorsi su temi già affrontati. Molto ben riuscita la scena della festa di matrimonio, nella quale Esmail, pur di sentirsi Patriarca per un giorno, è disposto a investire tutti i suoi beni infischiandosene dei suoi figli: un egoismo cui parte della famiglia sente di dovere comunque obbedienza, ma non Leila, la quale commette comunque il grave errore di non firmare il contratto della boutique a suo nome, in fondo delegando alcune incombenze ai fratelli dai quali, nonostante tutto, non si sente completamente affrancata. Da qui in poi il film decolla e coinvolge lo spettatore, ansioso di sapere cosa succederà, anche se il finale, in una scena difficile da dimenticare, è in parte scontato. Pur in presenza di una possibilità concreta di uscire dai debiti e di immaginare un futuro migliore, l’insalubre tradizione delle decisioni maschili, conservatrici e irrazionali, ha la meglio su una società che non vuole fare emergere la parte migliore di sé.