In un villaggio cinese, all’inizio degli anni novanta, un traffico illecito di sangue, gestito da uno degli abitanti del luogo, provoca la diffusione improvvisa del virus dell’aids. Per arginare il rischio di ulteriori contagi, il padre del responsabile del misfatto, affranto dai sensi di colpa, organizza una piccola comunità composta da tutti gli individui malati. Nonostante la tragicità della situazione, Gu Changwey, il regista, riesce a ritagliare un piccolo spazio di comicità, che si alterna al senso di morte incombente, per poi sviluppare il piano narrativo, incentrandolo completamente sull’amore disperato tra De Yi (Aaron Kwok) e la bellissima Qin Qin (Zhang Ziyi).
La Cina presentata nel film offre immediatamente allo spettatore le forti contraddizioni generate dalla frizione tra una cultura arcaica di matrice prevalentemente contadina e il nascente desiderio di ricchezza sorto all’indomani della colonizzazione capitalistica tutt’ora in atto nel paese. Su questo sfondo, prende corpo la questione della comunità avvelenata dalla logica dell’incremento di profitto, stravolta da un’incalzante ostilità interna, offesa da una ferità che frantuma irrimediabilmente l’antica armonia rurale, per cui la metafora del virus – come sottoscriverebbe il “materialista dialettico lacaniano” Slavoj Žižek – risulta assai appropriata.
L’organicità della comunità implode generando uno smembramento che disarticola ‘pezzi staccati’, e a partire da questa condizione si definisce una nuova dimensione della soggettività, tutta da scoprire e praticare.
La struggente e assai coinvolgente storia d’amore dei due protagonisti, che, pur di difendere il loro legame, si scontrano contro tutte le avversità mosse dal villaggio, costituisce il sintomo di un’inedita forma relazionale, in cui la maniacalità del nascente discorso capitalista comprime il tempo e lo spazio, satura lo spazio vuoto del sacro, imprime una folle corsa in avanti, allestendo uno scenario di morte che avvolge in una stretta da cui è difficile liberarsi.
De Yi e Qin Qin sperimentano un amore totalizzante, che supera la simmetria della dimensione coniugale, sconfinando in un’affettività che eccede il vincolo, e assistiamo a una cerimonia dei corpi, che, dopo e oltre il piacere, si fondono in un abbraccio che li rende indiscernibili. Un amore che è resistenza, perseveranza, rinuncia, deterritorializzazione, tentativo estremo, ma sempre praticabile, di smarcare il muro semiotico del capitale.
Luca Biscontini