
Ju Dou consacra Zhang Yimou come uno dei maggiori esponenti della cinematografia contemporanea. Il premio Luis Bunuel testimonia il fatto che l’Orso d’Oro per Sorgo Rosso non era stato casuale e lo pone all’attenzione del produttore giapponese Yasuyashi Tokuma, che decide di co-produrre il film con il governo cinese. Ju Dou è la giovane sposa di Qinshan, proprietario di una tintoria, un uomo violento che spera di avere un erede.
La giovane donna è stata comprata e il marito abusa di lei, i suoi occhi cercano l’aiuto del nipote Tianqing. I due sottomessi diventeranno amanti, ma il sollievo dato dal loro amore sarà sempre precario. Ju Dou è un film che possiede raffinatezza nei giochi di luci e ombre e l’effetto creato dall’alternanza dei colori primari poggia su una struttura drammatica coesa.
La scelta di inserire la tintoria nel racconto offre al regista la possibilità di giocare a proprio piacimento con i colori e di creare un film nel quale la scelta delle inquadrature, dell’illuminazione e delle scelte cromatiche enfatizzano un soggetto già di per sé eccessivo. Determinati espedienti risultano molto efficaci:le stoffe che si tuffano nelle vasche di tintura rossa srotolandosi, mentre gli amanti si abbandonano per la prima volta alla passione, è sia indice di un amplesso voluttuoso, che non è possibile mostrare così come avverrebbe in Occidente, che la manifestazione vigorosa di un autore che è stato prima di tutto un direttore della fotografia. I giganteschi ingranaggi per tinteggiare le stoffe simboleggiano l’impossibilità dei due protagonisti di sfuggire alla propria sorte, la loro condanna a rimanere prigionieri del meccanismo sociale. In Ju Dou tutto è il contrario di come si manifesta e ogni atto si trasforma nel suo inverso, per far notare che le leggi su cui si regge la tradizione possono solo produrre risultati perversi. In una ambientazione in cui nulla è come sembra, anche gli sguardi sono ambigui. Gli sguardi che si scambiano i protagonisti non sono mai orizzontali, diretti, aperti, ma sempre timorosi, sfuggenti e obliqui.
La loro collocazione spaziale è segnata da un dislivello, una distanza, un continuo tentativo di eludere lo sguardo dell’altro. La collocazione di entrambe le figure su piani diversi indica l’impossibilità di una vera e propria unione.
Francesca Caruso