XVII ed. Isola del Cinema – Rassegna di Cinema Cinese: “The Message – Il messaggio” di Kuo-Fu Chen e Gao Qunshu
Nel marzo 1940, durante l’invasione giapponese in Cina, Wang Jingwei, vice Presidente del Partito Nazionalista Cinese, siglò un accordo di pace col nemico, che portò alla costituzione del Governo collaborazionista di Nanchino
Nel marzo 1940, durante l’invasione giapponese in Cina, Wang Jingwei, vice Presidente del Partito Nazionalista Cinese, siglò un accordo di pace col nemico, che portò alla costituzione del Governo collaborazionista di Nanchino. Due anni dopo cominciavano a fioccare gli attentati contro gli alti funzionari imperiali.
Il colonnello Takeda (Xiaoming Huang) sospetta che il mandante di questi omicidi sia il Partito Comunista di Pechino, infiltratosi nel reparto antisommossa del Governo filo giapponese. Takeda ordina il sequestro dei cinque addetti alla trasmissione dei messaggi criptati, per smascherare il “Fantasma”, la spia comunista che ordina gli omicidi.
Tratto dall’omonimo romanzo di Mai Jia, popolarissimo in Cina per le sue storie tutte ambientate nel periodo repubblicano (1913 – 1949), il film dell’accoppiata Chen – Gao si presenta come un kolossal storico, con un’ambientazione spettacolare allestita in un castello solitario, arroccato su uno strapiombo bagnato dalle acque del mare, da cui non si può usare il telegrafo né fuggire.
La tensione non viene mai meno, nelle quasi due ore di spettacolo, mantenuta dalla giusta miscela di atmosfere thriller e di spionaggio. Per certi versi la sceneggiatura, redatta da Chen in collaborazione con Mai Jia, sembra ispirarsi ai gialli di Agatha Christie, in cui i sospettati vengono rinchiusi in un unico ambiente e, sapientemente istigati l’uno contro l’altro dagli ufficiali che conducono le indagini, si accusano a vicenda.
L’atmosfera si tinge di melodramma sul finale, senza stonare con la suspense precedente, anzi costituendo un gradevole stacco, che conduce gli spettatori verso la scoperta dell’identità del “Fantasma”. L’unica cosa che infastidisce sono le sequenze splatter, coerenti con le scene di tortura, ma troppo ricorrenti e più pertinenti con l’horror che con uno spy movie. Interessante invece la riproduzione fedele dei vari tipi di torture cinesi.
Una buona caratterizzazione dei personaggi, soprattutto delle due donne, Xiaomeng (Xun Zhou) e Bingbing Li (Li Ning Yu), e una attendibile ricostruzione storica, rendono la produzione ben riuscita e proponibile anche sul mercato occidentale.
Francesca Tiberi
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