Raccontare la storia della famiglia Agnelli significa parlare di un secolo di capitalismo italiano, complesso, contraddittorio e drammatico. Il documentario di Giovanni Piperno, biografia familiare non autorizzata, sceglie una chiave interpretativa particolare ed originale: il senso dell’assenza. Individua in un membro della famiglia che si è caratterizzato per la sua diversità ed alterità rispetto al resto della famiglia, ovvero Edoardo Agnelli, figlio di Gianni, morto suicida all’età di quarantasei anni, il simbolo di questa rimozione che investe il piano degli affetti.
Gli autori della sceneggiatura, Giulio Cederna e il regista stesso, indicano il tratto distintivo della famiglia Agnelli nella sua capacità di sottrarre energie alla propria umanità per riversarla nell’azienda-stato. Edoardo Agnelli aveva rifiutato di assumere ogni responsabilità di gestione della FIAT e, probabilmente, questo gesto fu alla base della frattura con lo spirito della propria famiglia. Tale distanza e separatezza vengono poste in connessione con lo stato di marginalità e frustrazione che, stando alle testimonianze di persone a lui vicine, avevano spinto la famiglia a proporgli, poco tempo prima della sua morte, un ricovero in una casa di cura per disturbi mentali. Seguendo questa suggestione, il film risale all’algida figura nodale dell’avvocato Gianni Agnelli, che avrebbe riversato sui proprio figli l’anaffettività ricevuta in eredità dai suoi avi, e si ipotizza che questa assenza di rappresentazioni emotive possa essere un’esasperazione, acuitasi con l’accrescersi della potenza industriale, del carattere riservato ed austero delle famiglie nobili piemontesi di fine ‘800, dedite alla laboriosa gestione del proprio patrimonio.
Si delinea, quindi, una sorta di patologia di una parte del capitalismo italiano, e della famiglia Agnelli in particolare, che avrebbe fondato la propria grandezza economica e politica sulla compressione e scarnificazione dei legami affettivi. Nella ricerca all’interno della genealogia degli Agnelli si individua un altro componente, da sempre ricoperto da mistero e riserbo, che rappresenterebbe in modo evidente gli squilibri relazionali che minano la famiglia: si tratta di Giorgio Agnelli, fratello minore di Gianni. Secondo testimoni, il rapporto tra i due fratelli era di natura fortemente conflittuale e veniva vissuto da Giorgio come una vessazione. Le poche fonti in grado di dare notizie su questo elemento della famiglia lo descrivono con una personalità complessa, al punto da apparire disturbata, probabilmente afflitto da schizofrenia.
Giorgio muore, in circostanze non ben chiarite, probabilmente suicida, in una clinica per malattie mentali in Svizzera.
Dalla visuale proposta da questo documentario emerge, dunque, una storia che sembra volersi incaricare di confermare le tesi di Deleuze in merito all’individuazione di una psicopatologia di carattere schizofrenico come limite del processo capitalistico.
Al termine del film è posto un piccolo inserto, presentato come omaggio, in cui Diego Novelli e Massimo Novelli ripercorrono le origini economiche della fondazione dell’azienda milanese e riportano alla luce un’accusa di aggiotaggio nei confronti di Gianni Agnelli senior che nel 1899 era stato uno dei co-fondatore dell’azienda. Entrato quasi casualmente nel capitale sociale dell’azienda, era riuscito a liquidare gli altri soci e si era reso protagonista di dubbie condotte economiche per le quali fu trascinato in tribunale. Qui un consulente della parte lesa, il giovane ragioniere Vittorio Valletta, stava per metterlo alle corde quando un’abile “acquisizione” lo portò a divenire consulente della controparte FIAT. Come andò a finire quella storia è a tutti noto. Attraverso questo “aneddoto” si creano le premesse per la ricostruzione di un’altra rimozione di natura ben più tangibile: la sottrazione arbitraria di risorse alla collettività, alla base della formazione di ogni accumulazione originaria.
Pasquale D’Aiello
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