South, in uscita sulla piattaforma digitale MUBI, è l’inedito cortometraggio del regista britannico Morgan Quaintance. Un cortometraggio che fa della visività una sua cifra stilistica e poetica.
Il regista: Morgan Quaintance
Morgan Quaintance è un’artista, scrittore e curatore con sede a Londra. Scrittore di numerosi saggi critici e è anche curatore di mostre collettive ed eventi da lui organizzati in tutto il Regno Unito. Recentemente è stato esposto al LIMA, Amsterdam e alla Cubitt Gallery il suo ultimo lavoro, basato su immagini in movimento. Fra i suoi futuri progetti vi sono in programma mostre personali al KARST, Plymouth, LUX e alla David Dale. I suoi film si contraddistinguono, invece, per una sensibilità verso tutte quelle tematiche socio-culturali marginali del Regno Unito.
South: le tematiche

Nel cortometraggio, presentato dall’Indipendent Cinema Office, si riflette sul tema della legittimazione. Prendendo due movimenti di liberazione antirazzisti e anti-autoritari nel sud di Londra e nel South Side di Chicago come punto di partenza: South presenta un’indagine espressionistica sul potere della voce individuale e collettiva. Interconnessa con la biografia stessa di Morgan Quaintance, il film prende anche in considerazione questioni di mortalità e volontà di trascendere un mondo caratterizzato da relazioni concrete.
South e la visione

Girato in 16mm e in bianco e nero, fatta eccezione per pochissime bucoliche inquadrature a colori, il cortometraggio strizza l’occhio ai filmati Lumière, passando per le avanguardie russe, quindi ai dipinti, fotografie, per arrivare al documentario, con incursioni di VHS, found footage, approdando sino a Google Street View, per poi concludere con immagini di risonanze magnetiche.
South: la visione come polifonia vocale

Alla base del cortometraggio vi è la concezione della Voce in particolare, come quella collettiva, sia un meccanismo propulsivo di cambiamento. Il regista per testimoniare ciò, porta nella sua opera un mix visivo estremamente polifonico. La risultante è un cortometraggio un po’fine a se stesso che vuole, ma non può. Alla base vi è l’idea di poter tradurre più voci in un corrispettivo per immagini; questo spiega quindi il perché l’impiego di così tanti strumenti visivi. In perfetta linea con la concezione attuale del “vedo dunque sono”, il rischio è sicuramente quello di trattare il tutto con estrema superficialità non solo sul piano del contenuto, ma anche espressivo: producendo nello spettatore confusione e assuefazione all’immagine.
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