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Calibro 9: on demand dal 4 Febbraio. Conversazione con Toni D’Angelo
Calibro 9 di Toni D’Angelo è un omaggio a un cinema che non c’è più ma anche il desiderio di avviare una nuova stagione del cinema di genere italiano
Published
5 anni agoon
Prodotto dalla Minerva Pictures di Gianluca Curti e Santo Versace con il sostegno della Calabria Film Commission guidata dall’ex presidente Giuseppe Citrigno, Calibro 9 di Toni D’Angelo è un omaggio a un cinema che non c’è più ma anche il desiderio di avviare una nuova stagione del cinema di genere italiano.
Mai come in questo periodo si sentiva la mancanza di un film come Calibro 9 che nella volontà di intrattenere il suo pubblico supplisce alla funzione tipica di certo cinema americano, assente a causa della pandemia. Ne ho capito il bisogno solo dopo aver visto il tuo lungometraggio.
Rispetto a quello (Milano Calibro 9, ndr) di Fernando Di Leo tu riprendi solo la seconda parte del titolo. Il fatto di eliminare Milano è espressione di un nuovo stato delle cose e cioè che l’attività delle organizzazioni malavitose è diventata globalizzata e non più circoscritta a una determinata area.
Diciamo che hai colto il nocciolo del film. Calibro 9 narra la criminalità 2.0. Attraverso il film noi raccontiamo che rispetto a Milano calibro 9 a cambiare non sono stati gli obiettivi ma i mezzi per ottenerle. Se nel film di Di Leo c’era una valigetta e una criminalità che ruotava attorno alla capitale lombarda adesso i sodalizi criminali si sono evoluti e grazie a internet e ad altre tecnologie sono diventate organizzazioni internazionali. La Ndrangheta una volta era un’associazione criminale localizzata, adesso invece si è articolata avendo i capi in Calabria, sede operativa a Milano e succursali sparse in tutto il mondo.
Nel film questo discorso trova coerenza nelle scelte formali. Se il mondo globale è informatizzato e la comunicazione viaggia alla velocità della luce così nel tuo film narrazione e immagini si spostano di continuo da un posto all’altro: scenari, location, montaggio, immagini, tutto è in perenne movimento. Il dispositivo fa suo questo concetto di realtà e lo trasforma in energia visiva.
Calibro 9 non manca di riflettere su quanto racconta ma lo fa attraverso i codici di genere e gli elementi della messinscena. Un esempio è dato dal mestiere del protagonista. Fernando è un avvocato, un uomo di legge eppure non ci pensa un attimo a rubare denaro con articolate operazioni telematiche. Tutto questo è allo stesso tempo premessa narrativa e allusione alla realtà di oggi in cui la legge è asservita alla corruzione.
Esatto, è proprio così. Tenevamo a raccontare il fatto che oggi le criminalità in generale si adoperano per far studiare i ragazzini nelle migliori università del mondo. Questo per dire che in qualche modo la corruzione esiste già a monte e anche il sistema giuridico ne è invischiato. E’ una questione che sappiamo da anni. Seguendo il protagonista raccontiamo un dramma non solo italiano. Il fatto che i criminali si siano insediati nei palazzi è di certo qualcosa su cui non si può non riflettere.
Mi interessava far notare che queste riflessioni pur presenti non appesantiscono il contesto perché sono fatte all’interno dei meccanismi dell’azione e del fare tipici del cinema di genere.
Al cinema di genere Fernando Di Leo attribuiva la capacità di saper cogliere meglio di altri i mutamenti sociali. Il noir e il romanzo criminale riescono a parlare del presente meglio di altre forme narrative.
Nel cinema c’è una cosa di cui si parla poco o di cui si parla male; mi riferisco al mercato e alla necessità di doverci fare i conti tenendo conto dei committenti ovvero delle persone che investono in un film. Anche in questo il cinema di genere funziona meglio di altri.
Milano calibro 9 in realtà faceva suoi i mutamenti sociali dell’epoca. Parliamo di tempi, scioccanti per l’escalation di violenza iniziata proprio in quel periodo. Al contrario il tuo film prende atto di una realtà consolidata.
Sono due condizioni diverse. Il cinema di Di Leo era dichiaratamente politico: lui era un comunista convinto ed è per questo che gli veniva rinfacciato di fare film mainstream cioè prodotti che piacevano a tutti. Il suo era un cinema che anticipava i tempi e che parlava di cose di cui era meglio non dire. Oggi invece niente fa più notizia. Sappiamo già tutto e dopo Gomorra anche le dinamiche delle bande criminali non hanno più segreti.
A un certo punto accenni anche a quel tipo di cinema che definisco “globe-trotter!, Mi riferisco a una serie come Alias e a film sul tipo di Mission Impossible, capaci di imporre un format fatto di avventure girate in varie zone del mondo. Visto che in parte succede anche in Calibro 9 volevo sapere se era per corrispondere a questo modello o perché di fatto la Ndrangheta opera a livello internazionale.
Fatta eccezione per il ritorno di qualche personaggio già presente in Milano Calibro 9 le citazione del film di Di Leo non risultano fondamentali. Quando presenti lo sono in maniera non invadente e quasi nascosta. Tra queste troviamo la sigaretta inquadrata verso la fine del film, il colore rosso della sequenza in discoteca. Qual è il concetto che ti ha guidato in questa scelta
Di fondo c’è il rispetto assoluto nei confronti di un grande autore e di un cinema che non c’è più. Il mio film dunque partiva si da qualcosa di grandioso ma doveva proseguire senza copiare né scimmiottare il modello originale. Ho giocato con questi elementi che in alcuni casi neanche si sono visti perché il montaggio lo ha impedito. Però per esempio quando il personaggio di Michele Placido entra in discoteca sul muro vengono proiettati i titoli di coda di Milano calibro 9. Sono quelle cose che alla fine conosce solo il regista.
Come dicevo sono riferimenti impercettibili anche per chi conosce il film di Di Leo. Mi riferisco per esempio al destino di Kenia Rappaport che rimane imprecisato come era accaduto per la Go go Girl di Barbara Bouchet. Su quest’ultima c’è lo stesso accanimento fisico subito nel primo film.
Si, hai colto il punto. La sigaretta è l’elemento che chiude il film di Di Leo e anche il mio. Noi siamo appassionati e cinefili ma non tutti conoscono quel film per cui bisognava avere rispetto per il pubblico che si accinge per la prima volta a vedere il mio.
Calibro 9 è anche l’occasione per vedere riunito un cast d’attori importante e variegato. Da Marco Bocci a Ksenia Rappoport, da Michele Placido ad Alessio Boni.
 
Per il tipo di confezione Calibro 9 penso nasca con l’ambizione di una distribuzione anche fuori dai nostri confini?
Sicuramente, perché poi tra l’altro il mio produttore è la Minerva Pictures di Gianluca Curti, un partner da sempre abituato a muoversi a livello internazionale. Mi hanno contratto tanti distributori importanti. Vedremo.
Anche a te faccio la domanda di rito chiedendoti il cinema che ti piace come spettatore e che ti ha fin qui ispirato come regista.
E’ notorio il mio amore per il cinema orientale. Lì ritrovo tutto quello che mi piace, soprattutto il genere che si mescola al melodramma inteso come sentimento umano della sofferenza.La mia predilezione parte dai film di Hong Kong di fine anni novanta e da John Woo.
Immagino che ti piaccia molto Memory of the murder?
Eh si, (ride, ndr). Il cinema coreano è forse oggi quello più vicino al mio gusto. Chiaramente a me non piace esagerare come si usa fare in certe cinematografie ma questo dipende dalla propria cultura. È chiaro che in oriente sono abituati ad aggiungere qualcosa in più; anche la recitazione è sempre sopra le righe però io mi alimento in quel territorio lì.
Calibro 9 on demand dal 4 Febbraio su Sky Primafila Premiere, Apple TV, Rakuten TV, Chili, IoRestoInSala e Google Play.