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Burlesque

«”Burlesque” è un prodotto privo di grinta, che vorrebbe parlare di musica e sesso, senza riuscirci».

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Ali (Christina Aguilera) è una ragazza con una voce notevole che decide di trasferirsi a Los Angeles da un paesino di provincia, per inseguire i propri sogni di successo. Al Burlesque Lounge, un teatro in difficoltà ma sede di un noto spettacolo di varietà, ottiene un lavoro come cameriera da Tess (Cher), proprietaria e direttrice del club. I costumi trasgressivi e le danze sensuali del Burlesque affascinano la ragazza, che si ripromette un giorno di far parte dello show. Ali si guadagna l’affetto di Jack, un affascinante barman e musicista che le offre un alloggio, e riesce anche a conquistare il palcoscenico. La sua voce dirompente riporta il Burlesque Lounge al suo antico splendore.

Burlesque – presentato fuori concorso al Torino Film Festival 2010 – è la solita storia di una giovane proveniente dall’arida, in tutti i sensi, provincia americana, che va in una grande città per sfondare nel mondo dello spettacolo dal vivo. Credevamo che l’ultima parola su questa inflazionatissima tematica fosse stata detta almeno in parte da Showgirls (1995) di Paul Verhoeven, ma evidentemente non è così. A ricordarci le sofferenze inflitte alla ragazza di turno dalla dura legge dello showbiz troviamo questa francamente brutta pellicola di Steve Antin.

Differentemente dal film di Verhoeven, Burlesque è un prodotto privo di grinta, che vorrebbe parlare di musica e sesso, senza riuscirci. Dopo un inizio scoppiettante, benché molto banale, la storia smarrisce completamente il tema centrale, ovvero cos’è il Burlesque, qual è la sua estetica. Nel film non è minimamente spiegato il senso intimo di questa curiosa forma d’arte, a metà tra ballo e spogliarello. Le attrici sono quasi sempre seminude, ma allo stesso modo della maggior parte dei corpi di ballo che vediamo in televisione, dove trionfano ormai una volgarità e uno stile che fanno quasi sempre il verso alla pornografia. L’opera in questione non presenta dunque dei veri spogliarelli, quando per converso il togliersi provocanti quanto improbabili vestiti è l’essenza stessa del Burlesque. Un altro errore è rappresentato dalla scelta delle ballerine, Aguilera a parte. Ovvero, come più volte affermato da Dita von Teese, la regina di questa forma di intrattenimento, le donne del Burlesque devono essere sì belle e sensuali, ma lontane dallo stereotipo di quei corpi quasi bionici che vediamo sovente al cinema e alla televisione. Ragion per cui, il canone femminile di questo tipo di “arte” è più vicino alle rotondità di una Bettie Page – un’icona per le praticanti del Burlesque – che a quelle di una playmate. Antin dal canto suo preferisce non sperimentare e presenta le solite ballerine dai fisici perfetti e dalla sessualità sfacciata, priva di quella provocazione che invece richiederebbe il tema trattato.

Christina Aguilera è bella e dinamica, ma finisce per interpretare se stessa. Diversamente dalla Jennifer Beals di Flashdance, lei canta e balla veramente, e bene, senza risparmiarsi nelle esecuzioni. Dopo il successo della cover di “Lady Marmalade” (colonna sonora del film Moulin Rouge!, 2001, di  Baz Luhrmann), la cantante americana guadagna infine lo schermo, a dire il vero senza demeritare. La Aguilera incarna sempre un prototipo di femminilità costruita e in parte pornografica, tuttavia bisogna riconoscerle del talento, nonché un certo appeal cinematografico.

“Life is a cabaret”, cantava Liza Minnelli e ancora oggi il palcoscenico è il luogo perfetto per mettere in scena i sogni di stelle e stelline dello spettacolo, magari chiudendo la favola con un lieto fine in cui tutti trovano il successo e l’amore, come avviene nella pellicola di Antin, che altro non è se non un bello spot pubblicitario per una diva come la Aguilera, che forse non ne aveva nemmeno bisogno.

Genere insidioso come pochi – stessa cosa dicasi per il western – il musical lo si ama o lo si odia. Quella messa in scena da Antin è una storia lineare che viaggia su piste ampiamente battute, rivelandosi chiaramente come uno specchio per le allodole. Infatti, invece di indagare e spiegare i meandri fumosi del mondo del Burleque, il regista americano si limita a ripercorrere l’ovvio, accontentandosi di avere una Aguilera in forma smagliante a coprire le enormi lacune di un cast e di una sceneggiatura dalle potenzialità assai limitate.

Riccardo Rosati

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