L’immortale: il centesimo film di Takashi Miike su Netflix
Disponibile su Netflix, il centesimo film diretto da Takashii Mike, L'immortale, è basato su un manga ed è stato presentato fuori concorso al Festival di Cannes. Temi principali dell'opera, la vendetta e la redenzione.
Pubblicizzato come il centesimo film di Takashi Miike, L’immortaleè basato sui primi volumi del manga Blade of the Immortal (scelto anche come titolo inglese per il lungometraggio), scritto e illustrato da Hiroaki Samura. Disponibile su Netflix, ha ricevuto varie nomination in manifestazioni quali il Seattle Film Critics Awards, lo Sitges – Catalonian International Film Festival e l’Asian Film Awards, oltre ad essere presentato a Cannes fuori concorso.
In un’epoca non ben precisata prende avvio la storia di Manji (Takuya Kimura), un samurai tradito dal suo comandante e tramutato in immortale da una strega, che ha messo dentro di lui delle sanguisughe per guarirlo. Elettrizzante e poetico, è senza dubbio uno dei migliori titoli del regista giapponese.
L’immortale | La sofferenza di chi non conosce la fine
La filmografia di Miike è tra le più eclettiche e appetibili in circolazione. Il cineasta è infatti bravissimo nello spaziare da un genere all’altro, consegnandoci sempre opere degne di nota. Che sia per le tematiche affrontate, per lo stile registico o per le figure che popolano la finzione, di rado non rimangono impresse nella mente del suo pubblico.
L’immortalenon si discosta in alcun modo dal discorso. Le vicende di Manji invadono ogni angolo dello schermo, superandone i confini imposti e conducendoci in un un universo magico e misterioso.
Sebbene non compaiano maghi, streghe o quant’altro, l’atmosfera che regna è quella di un fantasy. L’unico elemento sovrannaturale è simboleggiato dalla condizione di immortalità del protagonista.
Ma ciò che non può essere ucciso, non vuol dire che non soffra. Manji deve convivere con le ferite del passato, difficili da gestire, impossibili da rimarginare. L’entrata in scena di Rin (Hana Sugisaki) rappresenta per lui un modo di rimettersi in carreggiata.
Tra redenzione e affetto, verso una nuova identità
La redenzione si rivela uno dei temi principe de L’immortale. Votato a difendere la giovane, deciso a donarle le abilità necessarie a perpetrare la sua vendetta, il guerriero sarà disposto a tutto per conseguire lo scopo.
Vedendo nella ragazzina una reminiscenza della sorella, impiega le sue forze per fare ciò che non ha potuto fare prima, ossia garantire una salvezza alla persona amata.
Non teme la morte, anzi la brama – come accade anche nel recente e dissimile The Old Guard, sempre su Netflix. Ma nel momento in cui Rin si affeziona a lui, decide di andarsene, perché capisce che potrebbe diventare lei la causa della caduta di Manji.
Tra i due si instaura un legame potente, salvifico, indissolubile. La strada che percorreranno insieme non sarà solo fisica, quanto piuttosto simbolica: tra incontri inattesi, ostacoli e bivi da scegliere, ciascuno riuscirà a riempire quel vuoto lasciato dalla perdita dei rispettivi cari, ridefinendo al tempo stesso la propria identità.
Il cinema di Miike non è da tutti ma è tra i migliori al mondo
Il cinema di Miike affonda le sue radici nella cultura del Giappone, con contaminazioni artistiche di vario genere, dal fumetto al videogame, passando per un certo tipo di spettacolo caro al cineasta. Ed è forse questa mescolanza pensata e curata nei minimi dettagli a permettere alle sue opere di esistere al di là del tempo e dello spazio.
Come fossero degli ideali ponti di collegamento tra le tradizioni del passato e gli elementi del presente, tralasciando talvolta le suggestioni del futuro, i film di Miike appartengono a quel macrocosmo che è la cultura in generale. E come tali andrebbero custoditi, analizzati, vissuti.
Certo, il suo non è il grande pubblico e nemmeno quello medio. Vanno accettate e apprezzate alcune caratteristiche.
Come per esempio l’eccessivo sfoggio di sangue e uccisioni ardimentose, che poco o nulla hanno a che vedere con la reale violenza, quanto piuttosto con precise scelte artistiche. O la durata delle pellicole che supera le due ore, ma non concede un attimo alla noia o al superfluo. I pochi happy end.
Al di là di tutto, è comunque un cinema pieno di sfaccettature, ironia, fascino, in grado di lasciare sempre dietro di sé una traccia ben visibile e di suscitare più di una semplice reazione.