La Trincea infinita è sicuramente un progetto ambizioso, che narra un arco temporale vastissimo, partendo dal cuore della guerra civile spagnola sino alle soglie della caduta del regime di Francisco Franco. Un’opera che nasce da uno sforzo collettivo, scritta a quattro mani da Jon Garano e Josè Maria Goenaga e diretta, infine, da Aitor Arregi. Un film che sicuramente trasporta lo spettatore nell’orrore, nella sofferenza e l’infinita perdita prodotta dallo scontro fratricida. Insieme a tale narrazione cammina però una riflessione sul concetto stesso di vita, che è innalzato fino alle porte della nostra contemporaneità stravolta dalla pandemia attuale.
Epopea di un Uomo, e di un paese
Spagna 1936, precisamente Andalusia, regione del sud del paese particolarmente colpita dal conflitto civile. L’ambientazione trascina lo spettatore in un mondo rurale in cui l’alternarsi dei campi agricoli lascia spazio a piccoli e timidi paesini, dove la vita scorre lenta ma soprattutto minacciosa. Le vicende dei protagonisti sono interpretate da Antonio de la Torre e Belèn Cuesta, che essendo originariamente di Malaga e Siviglia conferiscono all’ambientazione ancor più veridicità (si consiglia si vederlo assolutamente in lingua).
Higinio Blanco è svegliato all’alba, sa benissimo il significato. Accusato insieme altri d’essere repubblicano, di resistere all’ascesa di Franco e aver tramato per l’uccisione di alcuni uomini vicini al futuro regime, è prelevato per essere fucilato. Grazie a una distrazione delle guardie riesce a fuggire e dopo diverse peripezie a tornare a casa dalla moglie Rosa (Belèn Cuesta), che riesce a nasconderlo.
Qui inizia l’epopea dei due coniugi, fatta di menzogne e continue privazioni, tutto per salvare la vita di Higinio. Il lungo arco narrativo è suddiviso in micro capitali introdotti da una singola parola, proprio come fosse un compendio della sofferenza umana. Quello che doveva sembrare un rifugio temporaneo si trasforma in una vera e propria prigione, unico luogo dove l’uomo si sente al sicuro in un mondo pronto a scannarlo. Il nemico non è rappresentato solo dai militari in forza al regime ma, soprattutto, dai vicini, gli abitanti del piccolo paesino pronti a denunciare e fare giustizia sommaria. Tra questi c’è Gonzalo, l’antagonista principale del film. Un uomo vicino al regime, che è alla costante ricerca di Higinio ritenuto colpevole dell’esecuzione del fratello. Gli sceneggiatori riescono abilmente a mostrare come l’orrore possa facilmente diventare quotidiano e invisibile, come l’aria o un virus.
Gli anni si sommano uno all’altro mentre Higinio prosegue la sua quarantena forzata, sempre in ascolto e bramoso di qualche novità che possa migliorare la propria condizione (ricorda qualcosa?). Il tempo produce un distacco sempre più marcato tra i due coniugi, uno impaurito dell’esterno, l’altra costretta a sacrificare una vita per uomo che vede sempre più come un codardo. Il momento di maggiore tensione è raggiunto quando Rosa è molestata e stuprata da Rodrigo ( attore presente nella casa di carta ) un giovane della guardia civil. Higinio in un primo momento è vinto dalla paura non riuscendo a intervenire, ma poi, riscoprendo il fuoco nascosto, uccide il violentatore con l’aiuto della moglie. Dopo l’omicidio della guardia, Higinio sposta ancor più la sua asticella di sopportazione dell’orrore, sotterrando il cadavere proprio sotto il suo nascondiglio, a ripetere lo status di morte che accomuna i due uomini.
Non più gli anni ormai, ma le decadi continuano a passare in questo stato di perenne conservazione di una non vita. Rosa pur contro il parere del marito decide d’avere un figlio, sarà proprio quest’ultimo cresciuto che in uno scontro con il padre lo mette di fronte al fatto compiuto. Nessuno più cerca Hignio, né la guardia civil, né i vicini del paese, anzi molti di loro sanno della sua clandestinità nella casa, la sua guerra è solo la paura del fuori. Anche quando è data ufficialmente l’amnistia dopo trent’anni Higinio continua ad avere il terrore d’uscire, sarà proprio attraverso un’enorme sfida interiore che l’uomo troverà finalmente il coraggio di varcare la porta.
Una guerra, un Virus
Più che la candidatura al premio Goya come miglior film, agli autori andrebbe dato quello di miglior medium per come sono riusciti a prevedere con un anno d’anticipo il corso dell’attuale contemporaneità. Non si può non riscontrare nell’epopea di Higinio il dramma che molti di noi vivono chiusi in casa. Come il protagonista aspettiamo le notizie, speranzosi di poter riacquistare le libertà perdute, ma come Higinio siamo traditi ogni volta. Un’altra similitudine naturale è con il personaggio di Gonzalo, il vicino spione, pronto a dispensar giustizia a colpi di denuncia. Quanti di voi hanno urlato al nemico pubblico numero uno, colpevole di mettere a rischio una nazione per il suo interesse personale. Avete applaudito, denunciato, gridato, senza sapere la storia del povero malcapitato, proprio perché vale il più antico dei proverbi, un buon capo espiatorio è equivalente a una soluzione.
La trincea infinita pone un’altra domanda a tutti, che solo negli ultimi periodi si è cominciato a sentire flebilmente anche in Italia: quale tipo di vita stiamo difendendo? Higinio rinuncia a tutto, all’essere padre, marito, compagno, idealista, tutto sacrificato esclusivamente per mantenere la biologica possibilità di respirare. Un’immagine questa che arriva fino a noi, uno spettatore pronto a rinunciare a tutto proprio come il protagonista del film. Nella parte finale Higinio sogna un dialogo immaginario con Ricardo, che giace sepolto sotto di lui. La guardia Civil divide una sigaretta con un Higinio stanco e in lacrime e, sorridendo, gli dice:”forse non sarai ricordato come un eroe ma sarai pur sempre una vittima“. A oggi noi siamo sicuramente le vittime, ma arriverà forse il momento che anche noi diventeremo un’altra cosa.