Richard Jewell di Clint Eastwood è un film politico che rispecchia il dibattito statunitense di questi anni
Clint Eastwood rilegge in chiave in chiave “antisistema” il fallimento delle indagini dell’FBI per l’attentato alle Olimpiadi del 1996 ad Atlanta, realizzando un film fortemente politico
Nel 1996 un estremista di una setta ultra-cattolica piazza una bomba durante una manifestazione delle Olimpiadi di Atlanta. In un primo tempo l’FBI dirige le indagini proprio sull’uomo che aveva rinvenuto la bomba, un semplice addetto alla sicurezza, il suo nome era Richard Jewell.
Le caratteristiche di Richard Jewell corrispondono perfettamente a un determinato profilo di colpevole: bianco, frustrato, desideroso di riconoscimenti e amante delle armi
Le caratteristiche di Richard Jewell corrispondono perfettamente a un determinato profilo di colpevole: bianco, frustrato, desideroso di riconoscimenti e amante delle armi. E ovviamente non può sfuggire che una tale tipologia umana deve essere, invero, assai frequente negli Stati Uniti, e nel disegno di Clint Eastwood finisce quasi per diventare un atto di accusa delle élites contro il proletariato più profondo degli Stati Uniti.
Infatti Richard è un lavoratore precario che pasteggia col junk food (e per questo è in forte sovrappeso, come tanti statunitensi). Contro di lui anche alcune piccole pendenze con la legge (tra cui anche l’evasione fiscale) che ne oscurano la credibilità.
Nella vicenda che coinvolge quest’uomo semplice, lavoratore infaticabile, innamorato delle divise e dei distintivi, Eastwood ravvisa un chiaro problema di classe. Proprio come in Fino a prova contraria (1999), ma mentre lì il pregiudizio scaturiva dall’etnia qui il vizio d’origine sta nel profilo socio-culturale del presunto colpevole.
Per Eastwood Richard è lo statunitense tipo, uno che lavora sodo, spesso sottopagato, magari ingenuo e poco raffinato, ma patriottico e coraggioso, esponente di quell’umanità che si suole chiamare “America profonda”. Invece, l’FBI è chiamata a rappresentare l’ottusità del governo centrale. Ma c’è un altro fondamentale attore in campo: i media, a cui Eastwood sembra associare la scaltrezza e l’ipocrisia delle élite colte che agiscono con cruda spietatezza secondo i propri preconcetti di classe.
Siamo totalmente dentro la dialettica alto-basso che nell’ultima campagna presidenziale ha dipinto Trump rozzo, ma sincero rappresentante del proletariato vessato, e Hillary Clinton liberal-buonista ma ipocrita, protettrice delle classi istruite e agiate
Insomma, siamo totalmente dentro la dialettica alto-basso che nell’ultima campagna presidenziale ha dipinto Trump rozzo, ma sincero rappresentante del proletariato vessato, e Hillary Clinton liberal-buonista ma ipocrita, protettrice delle classi istruite e agiate. E se i termini del discorso diventano questi, Eastwood non esita un attimo a parteggiare per il basso “trumpiano” Richard contro l’endiadi “alta” costituita da FBI e media, contro cui si era già scagliato in Potere assoluto (1997). Anche a costo di realizzare un film preconcetto, irrigidito su cliché di personaggi piuttosto semplificati e prevedibili, che a volte sono costretti ad assumere atteggiamenti ed espressioni eccessivamente didascaliche (il poliziotto che si fa ammutolire dalla retorica di Richard, la giornalista che prende troppo alla lettera l’espressione che vuole i giornalisti dediti al meretricio).
Richard Jewell non aiuta a sciogliere nodi di interpretazione della crisi sociale statunitense, non offre vie d’uscita, non si sforza di svelare la sostanziale artificiosità di una tale rappresentazione
Pur volendo cogliere del vero dentro questa contrapposizione tra le due “Americhe”, Richard Jewell non aiuta a sciogliere nodi di interpretazione della crisi sociale statunitense, non offre vie d’uscita, non si sforza di svelare la sostanziale artificiosità di una tale rappresentazione. Come se per questo proletariato non ci fosse altra soluzione che continuare a baloccarsi con armi, cibi grassi e bandierine a stelle e strisce fino a farsi rappresentare dall’impresentabile Trump (che Eastwood sostiene, pur essendo spesso in disaccordo), sperando di non incontrare mai sulla propria strada qualche implacabile emissario mandato da Washington o New York. Se si vuole, siamo ancora dentro la retorica da Far West che vorrebbe liberare l’“onesta laboriosità” dei coloni dalla pervasività del governo centrale ma senza nessuna ipotesi di ricomposizione.
Insomma, non sembra certo il film adatto a chiudere la variegata e stupefacente carriera di Eastwood, ma è abbastanza controverso per animare il dibattito su questa fase convulsa degli Stati Uniti.