Remake del film di J. Lee Thompson del 1962, Cape Fear di Martin Scorsese è un thriller pervaso da un'atmosfera torbida e delirante, che avvince per ritmo, suggestione e suspence. Max Cady (De Niro) è il rimosso che torna con violenza svelando l'ipocrisia che cova sotto la rispettabilità di una famiglia americana
Cape Fear – Il promontorio della paura è un film del 1991 diretto da Martin Scorsese con protagonisti Robert De Niro, Nick Nolte, Jessica Lange e Juliette Lewis.
Alcune informazioni su Cape Fear
Il film è un remake de Il promontorio della pauradi J. Lee Thompson (1962). Della pellicola precedente questa mantiene, come attori, Martin Balsam, Gregory Peck e Robert Mitchum, che tornano qui in piccole parti. L’opera di Alfred Hitchcock fu una delle influenze stilistiche maggiori per Cape Fear.
Come per la pellicola originale del 1962, dove il regista J. Lee Thompson ammise esplicitamente il rimando a Hitchcock, ricorrendo al suo stile di regia, e volendo Bernard Herrmann per la colonna sonora, Scorsese girò la sua versione del film alla maniera di Hitchcock, specialmente attraverso l’impiego di inquadrature inusuali, illuminazione, e tecniche di montaggio. In aggiunta, nel remake di Scorsese i titoli di testa sono opera di Saul Bass, abituale collaboratore di Hitchcock, e la colonna sonora è un rimaneggiamento di quella originale scritta da Herrmann da parte di Elmer Bernstein.
La trama di Cape Fear
Max Cady (De Niro) s’è fatto quattordici anni di carcere per stupro. Non che Max fosse innocente, però è vero che Sam Bowden (Nolte), il suo avvocato, ha omesso di presentare un documento che avrebbe potuto alleggerire la sentenza. Oggi Bowden vive nel North Carolina, con la moglie Leigh (Lange) e la figlia adolescente Danielle (Lewis). Tutte queste cose Max le sa perché ha deciso di fargliela pagare. Ma, almeno all’inizio, non in maniera evidente. Basta farsi vedere in giro nei luoghi che lui frequenta, sedersi davanti a lui al cinema, ammazzargli il cane, magari, mettere qualche dubbio in testa alla giovane Danielle. Nulla per cui uno possa essere messo in galera.
La recensione del film
Nel momento in cui si accingeva al progetto di Cape Fear, Martin Scorsese attraversava un momento piuttosto altalenante riguardo al successo commerciale delle sue pellicole. Una mare sconfinato di polemiche avevano accompagnato le proiezioni de L’ultima tentazione di Cristo, mentre il film successivo, Goodfellas, aveva messo d’accordo tutti, pubblico e critica.
Forte quindi del successo di quest’ultima pellicola, il progetto del remake di Cape Fearsi presentava come un’occasione eccellente per continuare a consolidare la riuscita commerciale delle sue pellicole, senza tuttavia svilire le sue tematiche nei confronti dell’industria hollywoodiana. Fin dagli stupendi titoli di testa di Saul ed Elaine Bass, Cape Fearsi annuncia come un qualcosa di completamente diverso dal suo predecessore. Visioni distorte come provenienti da un incubo, gli stessi titoli “spezzati” come in un fermo immagine di quelli altrettanto simili allo Psycho di Alfred Hitchcock, fino ad arrivare agli occhi in negativo di Danielle Bowden e le sue reminescenze.
Il Cape Fear di Scorsese è una versione in negativo del film di Thompson. La famiglia Bowden non è quello specchio di virtù monolitico della pellicola originale. Fin dall’inizio, sotto le ceneri di una apparente tranquillità di facciata, covano delle conflittualità fra i componenti della famiglia, che la imminente presenza di Max Cady farà emergere in tutta la sua virulenza, spazzandone il velo di ipocrisia.
Scorsese ribalta tutto nel suo Cape Fear, mettendo da parte la convenzionalità della pellicola originale e attribuendo a Cady (De Niro) un ruolo di vittima e carnefice allo stesso tempo. Rimanendo nel convenzionale, è il cosiddetto “cattivo” del film, soprattutto nei modi aberranti in cui cerca la sua vendetta nei confronti di Sam, ma le motivazioni che lo spingono sono giuste. È vittima di un avvocato arrogante e ambizioso che è rimasto moralmente schifato dalle azioni di un montanaro rozzo e analfabeta, venendo meno però a quei doveri fondamentali che sono alla base della sua professione e di riflesso venendo meno a quelli che sono i suoi doveri coniugali e di padre. Sam quindi merita in pieno la condanna al nono cerchio dell’inferno: il girone dei traditori.
La parte finale del film
Lo stesso finale del film, pur rispettando le regole del genere, una volta avuto lo spettro dei personaggi coinvolti, non è assolutamente catartico. Max Cady viene risucchiato nei vortici del fiume in pieno delirio mistico. Sam rimane con le mani insanguinate ma l’acqua del fiume non assume una funzione purificatrice. Lava solo il sangue delle mani ma non monda le sue colpe. Ciò che Sam e la sua famiglia hanno riconquistato è quell’alone di rispettabilità ipocrita, cui erano abituati prima dell’arrivo di Max Cady. E le parole finali di Danielle non fanno altro che ribadire il loro cinismo, il desiderio di condannare all’oblio colui che li aveva costretti a guardare dentro la loro coscienza.
Non solo quindi una eccellente confezione, ma un film che sa scavare in profondità di quella che è all’apparenza una tranquilla e irreprensibile famiglia americana. Notevoli meriti sono anche nel montaggio di Thelma Scoonmaker, che firma una delle migliori collaborazioni con il regista italo americano. Infonde alla pellicola un ritmo sostenutissimo, che non lascia respiro dall’inizio alla fine, sempre in crescendo.
Uno dei pezzi migliori è certamente la rielaborazione della colonna sonora di Bernard Herrmann da parte di Elmer Bernstein. Il leit-motiv così ossessivo da rasentare la ridondanza, accentua quella caratteristica di castigo divino imminente rappresentato da Max Cady. Se si ascoltano fino in fondo i titoli di coda, in mezzo al rumore della pioggia si può udire chiaramente il motivo principale di Hermann. Forse il corpo di Max Cady giace sul fondo delle acque di Cape Fear. Ma il suo fantasma può riemergere da un momento all’altro a scuotere ancora una volta le coscienze della famiglia Bowden.
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