È una lunga storia d’amore Shooting the mafia (2019), un rapporto intimo tra Letizia Battaglia e la fotografia, una messa a nudo della fotografa siciliana che attraverso gli scatti “poteva raccontare se stessa, poteva esprimersi”.
Un racconto di Kim Longinotto che in poco più di un’ora e mezza trasmette le emozioni, il dolore, le domande di una donna che fin dai primi scatti in bianco e nero ha riportato in vita attimi di una Palermo martoriata.
Il richiamo morettiano di Caro Diario (1993) con Silvana Mangano che balla sul set di Anna (1951) di Alberto Lattuada non è altro che un tuffo nel passato di una donna a cui “è stata negata la libertà”, i ricordi di una ragazzina che a dieci anni non poteva uscire più di casa.
“Condividere il dolore con una macchina fotografica è imbarazzante – non mi ricordo di avere fatto certe foto” afferma la fotografa nel film del regista irlandese eppure quelle foto sono un “odi et amo” catulliano perché seppur meravigliose riaprono le ferite di una donna che si pente di non aver immortalato i corpi dei giudici Falcone e Borsellino.
L’attacco alle istituzioni, l’omertà di un popolo spaventato, abituato alle morti – addirittura mille in un anno – sono tutte rappresentate negli scatti di Letizia Battaglia, una donna forte dall’animo gentile. “Con la fotografia potevo raccontare me stessa, potevo esprimermi” e quelle foto non sono altro che la sua vita, forse iniziata a quarant’anni quando correva da una via all’altra per le strade della sua Palermo, una città che gridava “no” alla mafia durante i funerali di Borsellino. La morte, questa sconosciuta, è sempre stata presente nella vita di Letizia Battaglia, attraverso le foto si possono ascoltare le urla dei siciliani, i loro pianti, la speranza che prima o poi, come affermava Giovanni Falcone: “La mafia è un fenomeno umano e come tutti i fenomeni umani ha un principio, una sua evoluzione e avrà quindi anche una fine”.
Anthony De Rosa