Nel 2018 abbiamo accolto nelle sale italiane, in maniera tiepida ma comprensiva, La settima Musa, il nuovo horror diretto da Jaume Balaguerò con Franka Potente. Allo stesso tempo, quasi senza che ce ne accorgessimo, proprio il film che ha portato al successo l’attrice tedesca, capace da sola di bucare lo schermo, ha compiuto 20 anni. Stiamo parlando di Lola Corre, lungometraggio presentato alla Mostra del Cinema di Venezia che non convinse la critica in quell’occasione, salvo poi trasformarsi successivamente in un film di culto.
Molti sono in effetti gli elementi che rendono il film di Tom Tykwer un lavoro assolutamente attuale. La fine degli anni 90 segna al cinema il trionfo del “what if”, della possibilità negata e delle mille altre che si spalancano. La storia di Lola si inserisce in questo filone: la ragazza riceve la chiamata da Manni, il suo fidanzato, un criminale inesperto che ha perso una borsa piena di soldi che doveva consegnare al proprio capo. Teme che il boss possa di conseguenza farlo fuori. L’unica soluzione è che Lola riesca a trovare la modica cifra di 100.000 franchi in 20 minuti e a portarla a Manni davanti al supermercato nel quale, altrimenti, lui entrerà per tentare di portare a segno una rapina. E, da quel momento, in poi, Lola corre.

La struttura del film è tripartita: ognuna esplora una possibilità per arrivare poi al punto di partenza (il luogo di incontro pattuito tra Lola e Manni), proprio come la frase di T.S. Eliot che introduce le vicende della giovane berlinese sembra suggerire.
“Non smetteremo di esplorare. E alla fine di tutto il nostro andare ritorneremo al punto di partenza per conoscerlo per la prima volta.”
Lola corre è praticamente contemporaneo a Sliding doors. Eppure le vicende della nostra eroina si differenziano in maniera sostanziale da quelle della Helen interpretata da Gwyneth Paltrow. Quest’ultima subisce una serie di casualità che la rendono più o meno vittima del proprio destino. Lola è invece guidata dal proprio intuito e dalle proprie scelte che, per quanto folli, determinano il susseguirsi di una serie di eventi in cui lei è protagonista e non agente secondario. La sua presenza non passa mai inosservata: con un urlo che spacca i timpani Lola attira su di sé l’attenzione in quelli che sono i momenti culmine della narrazione, come l’improbabile dialogo con il padre banchiere e una delle scene più famose del thriller, in cui la ragazza vince al casinò. La sua corsa a perdifiato tra le strade di una Berlino che ha perso la propria geometria dopo il crollo del muro è l’elemento dissonante che sconvolge ogni ordine prestabilito. I suoi capelli – un misto tra l’acconciatura di Robert Smith dei Cure e l’indimenticabile rosso di Milla Jovovich ne Il quinto elemento – sembrano rappresentare l’elemento dinamico che distingue il film da altri lavori con simili ambizioni.
In una sorta di metafora generazionale nutrita dal ritmo dei videoclip, dalle citazioni dei videogiochi e da lunghi pianisequenza, il regista Tom Tykver trasforma Lola nella rappresentante di un’intera generazione. Conosciamo la direzione, ma non sappiamo bene come arriveremo alla meta, i nostri tentativi di sopravvivenza – e di salvaguardia di tutto ciò che amiamo – sono fantasiosi e creativi. Allo stesso tempo, interessante è il tema delle (non) interazioni con i personaggi secondari, che Lola incrocia durante la sua corsa senza sosta. Nelle tre diverse narrazioni (ognuna delle quali dura 20 minuti, esattamente il tempo che la protagonista ha a disposizione per trovare il denaro) vengono infatti mostrate, con una sequenza fotografica che dura pochi secondi, le differenti possibili vite delle persone con cui Lola scambia due parole, o semplicemente contro cui va a sbattere. Anche per loro, una frazione di secondo in più o in meno, una parola detta o non detta, possono influire sull’intero destino.
Il film dunque si innesta nel cuore dello spettatore proprio nel varco in cui giace l’eterna domanda “Cosa sarebbe successo se…?”, si nutre delle fantasie che spesso culliamo quando proviamo a immaginare la vita dei passanti che, nel ritmo frenetico della vita attuale, restano nella maggior parte dei casi perfetti sconosciuti. Gli strumenti utilizzati in questa missione artistica sono la consapevolezza della relatività del tempo, composto e scomposto a piacimento per ottenere diversi finali, i colori saturi contro il grigiume attorno, e una colonna sonora che mai si interrompe, come nella migliore tradizione pop dei videoclip. “Lola corre” ha il merito, poco compreso dalla critica contemporanea al film, di aver saputo parlare alla generazione a cui si rivolgeva utilizzando il suo stesso linguaggio. Eppure non si tratta di un lavoro che resta ancorato ai propri tempi, poiché solleva interrogativi sulla vita e sul mondo comuni alla maggior parte degli esseri umani. Per questo, a distanza di 20 anni, ha ancora senso considerarlo un film attuale, un vero classico dell’era postmoderna.