La camera delle bestemmie, fortunale, pioggia e caminetto.
Colonna sonora: nessuna.
Già, per la prima volta da che imbratto carta per taxidrivers, non c’è una mia scelta musicale d’apertura ad accompagnare la lettura del pezzo.
Questo non perchè mi si sia rotto lo stereo o perchè come Beethoven sia stato colpito da una forma di sordità acuta.
Semplicemente perchè stavolta, aprendo la mail (eh si! Non avendo né whatsapp né facebook, comunico ancora prevalentemente col mondo tramite email e nokia 8700), trovo una missiva del grande capo in persona che si scomoda per affidarmi una recensione.
Un link ad un video, nessuna spiegazione e poche laconiche righe d’accompagno: “Fai come ti pare! Mi serve entro dieci giorni”.
Di norma quando succede una cosa del genere, è perchè l’articolo in questione di preannuncia quantomeno spinoso da trattare.
L’ultima volta mi sono trovato a scrivere di un film su un cyborg omosessuale nazista Sardo che viaggia nel tempo per uccidere il Bambino Gesù reincarnato durante la guerra civile in Jugoslavia (C.fr. Camera iperbarica).
Quindi preparo il bibitone di citrosodina, mi sistemo sulla poltrona con un blister di Xanax a portata di mano, faccio un respiro e clikko sul link.
E in effetti gli psicofarmaci ci stanno tutti, perchè il film in questione è kurutta Ippeij, vecchia gloria del cinema giapponese targata 1926 che ha come argomento proprio la follia!
Misconosciuto in Italia ma considerato un vero e proprio cult in Giappone.
La versione in oggetto merita una recensione perchè è stata totalmente risonorizzata in chiave moderna da un trio composto da tale ich bin Bob, altro tale Carlo Marrone e per finire dalla tale Laura Agnusdei.
Ora, la pratica della sonorizzazione di grandi classici del cinema in bianco e nero è antica.
A mia memoria la iniziarono i CSI con il fantasma dell’opera e io stesso, oltre che imbrattare pagine virtuali per Taxidrivers, mi sono cimentato in questo esercizio con la band in cui suono e di cui non vi dirò il nome nemmeno sotto tortura.
La musica che il trio propone non mi fa impazzire subito.
Servono due, tre o anche più ascolti per capire ed esplorare tutte le stratificazioni e coglierne le peculiarità.
La base è indubbiamente elettronica, ma si fanno sentire ad ondate carsiche anche un sax ed una chitarra.
Ovviamente di primo acchitto potrei dire che tentano un approccio post-moderno, ahimè, difettando di qualità per farlo.
Tradotto, è il classico passo più lungo della gamba.
Manca il talento compositivo di un john Zorn, ma spezzando qualche lancia a loro favore, devo dire che il mio orecchio si è forgiato nel rock, punk rock, post-punk e persino nell’ambito dell’elettronica prediligo altre forme espressive meno “ambient”.
Per di più, mancando una scheda tecnica di riferimento al video, posso solo azzardare l’ipotesi che si tratti di un’improvvisazione e quindi le varie sbavature sarebbero da considerarsi dei peccati veniali.
Se come penso, si tratta di una composizione spontanea, l’impresa non è priva di meriti.
Il film certamente è difficile e il flusso sonoro commenta le immagini espressioniste e fortemente emozionali.
Il suono freddo e ossessivo della musica elettronica moderna crea un corto circuito tra il gusto genuinamente retrò della pellicola in bianco e nero e il timbro sonoro contemporaneo.
Il senso è quello di uno spiazzamento; che ascrivendolo alla sfera del gusto strettamente personale non convince, ma può essere una virtù per molti altri estimatori di questi sofisticati contrasti audio/visivi (o visionari).
La base elettronica per me un po’ troppo minimal, cede il passo al sassofono e alla chitarra.
Strumenti reali le cui incursioni fanno raggiungere al dialogo tra suono e immagini i momenti di maggiore intensità e coinvolgimento.
Cosa che dovrebbe essere il fine ultimo di un percorso attraverso i labirinti della follia e dell’animo umano che i volti, le angolature e le ossessive ripetizioni dei piani sequenza suggeriscono di continuo allo spettatore.
Di norma sono molto drastico nei miei giudizi.
Invece questa volta devo trovare una via di mezzo nel definire un lavoro, sicuramente perfettibile ma coraggioso, con momenti di reale talento e meritevole di una seconda o terza visione.