Jamais-vu: è il contrario di deja-vu, ed è stato preconizzato dal genio di Chuck Palahniuk nel suo splendido Choke. Se nel deja-vu si rivive una situazione, si rivede una persona, che sembra già vissuta o vista, nel jamais-vu è quando incontri le stesse persone ma ogni volta è come se fosse la prima: tutti sconosciuti, sempre.
Picnic At Hanging Rock, per le pietre che non lo sanno, è un romanzo dell’australiana Joan Lindsay da cui Peter Weir ha tratto il suo capolavoro del 1975; se il romanzo è un mistery sotto mentite spoglie, il film è un dramma esistenziale che veste le sembianze del mistery. Quattro ragazze di un collegio, dopo una gita sulla montagna sacra dell’Hanging Rock, spariscono nel nulla- la Lindsay svelò la soluzione del mistero nel fantomatico Capitolo XVIII, Weir lasciò tutto sospeso. Sospesa la spiegazione del mistero, sospese le atmosfere, sospeso il film: ed è proprio quest’atmosfera rarefatta ad aver regalato all’opera la sua allure di pietra miliare, con le ossessioni che tormenteranno il cinema del cineasta per gli anni a venire. Dolori della crescita, tormenti interiori, attenzione per la gioventù: ma soprattutto, la sfida dell’Uomo contro un, anzi ,il Destino cinico e baro, una sfida nella quale sarà sempre perdente con il confronto dell’essere umano e la sua esperienza terrena contro il Mistero, l’Immanenza e l’Immanente. Senza vittoria, senza soluzione. E infatti, il film Picnic At Hanging Rock semplicemente non finisce, rimane sospeso.
Chiaramente, confrontarsi con un tale totem era impresa da far tremare i polsi: raccontare di nuovo quella storia, impresa sicuramente destinata al fallimento.

E invece no.
Picnic At Hanging Rock, la serie, decide giustamente di prendere subito le distanze (narrative, ma soprattutto tematiche e di stile) dall’opera di riferimento: e si apre con un lungo, complesso piano sequenza che si traduce sul finale in un insistito primo piano di Natalie Dormer, nota per la sua Margaery Tyrell nel Game Of Thrones, che qui veste i panni di Hester Appleyard, direttrice del collegio che si trova a dover fronteggiare la misterica scomparsa di quattro sue allieve.
Non c’è il rigore sospeso della poetica weiriana, non c’è l’attesa per quello che deve accadere, in queste prime due puntate: ma la serie di Beatrix Christian e Alice Addison prende vita tra un cromatismo saturo e pop per una storia che si muove attingendo a piene mani dall’immaginario lynchiano (che poi, se vogliamo, arrivava dritto dalle atmosfere di Weir) senza rinunciare alla dilatazione cronologica di gesti e accadimenti, che però viene fuori non da una narrazione sospesa bensì dall’utilizzo di ralenti e un mood allucinatorio, una regia volutamente sussultoria e sconnessa che segue le tracce dei suoi protagonisti, immersi in un mondo che sembra ripiegarsi continuamente su sé stesso, con riflessi e situazioni speculari, reboot esistenziali e rigurgiti dell’anima.
Caos e Ordine si scontrano così come si scontrano Essere Umano e una Dimensione Altra: per generare tragedia, come sempre, mentre le sovrastrutture sociali crollano difronte all’inevitabile, ineluttabile ordine (in)naturale delle cose: i corsetti, le regole, gli orari e le frasi beneducate a nulla servono se ci si immerge nella natura e ci si scontra con la Vita.
Citavamo prima Lynch e Palahniuk: ci sono entrambi, in un modo o nell’altro, in questa serie. Ci sono i trip allucinati del regista di Lost Highways, ma ci sono anche le sferzate sociali dello scrittore, in una miscellanea che, nel momento in cui si accetta (per forza ontologica) la diversa natura delle opere di Weir e della Christian, risultano gradevoli quand’anche appassionanti. Una miscellanea che frulla dentro anche ossessioni religiose, paradigmi culturali, lotta di classe, colorate da un segno di pop-art che non disdegna nessun riferimento artistico o cinefilo, per rendere la modernità di una storia scritta e nata cinquant’anni fa.
Resta da vedere come sarà sviluppata la trama, nei restanti quattro episodi della mini: e la curiosità se le risposte del Capitolo XVIII (pubblicato nel libro The Secret Of Hanging Rock, scritto sotto le pressioni dell’editore, mai più ristampato e ora fuori commercio, inedito in Italia; e -pare- con lo svelamento già contenuto nel Capitolo III di tracce e indizi volutamente disseminati dalla Lindsay nel romanzo originario) saranno incluse in una vicenda che, se senza soluzione, ha proprio per questo in sé il senso del suo essere.
“C’è un tempo e un luogo perché qualsiasi cosa abbia principio e fine…” (Miranda, una delle ragazze protagoniste di Picnic At Hanging Rock)
di GianLorenzo Franzì