Possiamo ormai parlare con cognizione di causa su dove stia andando questa seconda stagione di Westworld: che come aveva fatto presagire il bellissimo Journey Into The Night, episodio di apertura, ha sparigliato le carte in tavole, decostruito e preparato il terreno per la costruzione di una nuova avventura narrativa del mondo dei Residenti e degli Ospiti.
Una scelta brillante in fatto di struttura narrativa (che non è però certo nuova per chi segue la produzione nolaniana) sono i frequenti salti in avanti e indietro nel tempo: rispondendo ad uno degli interrogativi più pressanti della stagione passata, ovvero se la linea narrativa seguisse un’unica linea temporale, Nolan rende lampante che quelle a cui stiamo assistendo sono le storie di almeno tre momenti cronologicamente distinti: alle origini del parco, ancor prima che venisse costruito e durante; durante la rivolta dei Residenti; e undici giorni dopo la fine della Rivolta.
Ma questo, ovviamente, non risolve assolutamente nulla, anzi apre la strada a numerosissimi altri interrogativi, ancora più affascinanti: che significato ha il simbolo che Dolores tocca nella casa (in costruzione) di Arnold? E che significato ha l’altro simbolo che di sfuggita vediamo, sempre più frequentemente, nei pad degli operatori del parco? Qual è il vero gioco di Ford? E quale partita sta giocando, in realtà, l’Uomo in Nero –che altri non è, poi, se non William?
Quali sono le vere motivazioni che hanno spinto gli investitori a creare Westworld? In questo senso, almeno, le risposte sono terribilmente attuali e proprio per questo ancora più dolorose e affascinanti: spettacolare il flashback nel passato dove William, ancora giovane, incontra James Delos, patriarca e fondatore della compagnia che il parco l’ha creato, la Delos appunto… salvo poi scoprire che lo stesso Delos è lui stesso un Residente, una copia, all’interno di un gioco ancora una volta più ampio e nascosto.
Nolan riesce, ancora una volta di più, a tracciare una trama non lineare ma frammentata che però riesce a mantenere una coesione interna, se non cronologica ma sicuramente logica: e nel farlo, inserisce in Westworld le sue ossessioni d’autore inestricabilmente avvinghiate ad un gusto sottile (e lasciatelo dire, un po’ sadico) per i giochi di scatole cinesi, dove un mistero ne contiene un altro ancora, senza però affaticare lo spettatore.
Che invece trova diversi guilty pleasure, al quale continuamente si ammicca, e che viene coinvolto in un rimando di citazioni e immagini a specchio che rendono la visione di Westworld così vertiginosa: se il quinto episodio, ambientato quasi esclusivamente a Shogun World in pieno Giappone feudale, con una miriade di citazioni a Leone e Kurosawa e il sangue che scorre a fiotti, esalta le aspettative dei fan – Dolores/Wyatt e Maeve sembrano avviarsi lentamente ad uno scontro, ideologico e fisico, mentre entrambe riflettono in maniera sempre più dolorosa sulla natura dei loro sentimenti, arrivando a soluzioni drasticamente agli antipodi.
Perché Dolores si sta trasformando nel nemico la cui ombra si era allungata su di lei e sul suo amato Teddy, che è dovuto soccombere ad un destino avverso e forse già scritto; mentre la consapevolezza sta invece trasformando Maeve rendendola più fragile e meno esposta allo stesso tempo, più dura e più lucida, più lacerata e meno piegata alla volontà dei suoi creatori. Wyatt è insomma una despota che non si preoccupa di usare i suoi “sottoposti” come carne di cannone per dirigersi e buttarsi a capofitto nel conflitto che si prospetta all’orizzonte, mentre Maeve è una leader empatica capace di rispettare la libertà altrui e l’inspiegabile umanità dei Residenti- sviluppando contemporaneamente nuove, misteriose abilità psichiche al limite della telepatia.
Westworld continua insomma ad essere contenitore per una storia che al suo interno rilegge, ricodifica e ricostruisce mille altre storie e generi, rimasticando e riflettendo su temi e tematiche come la religione (nell’episodio 2×02 c’è anche un’ultima cena, con Dolores/Dio e i Confederados come gli apostoli; Ford sembra essere il vero e proprio Dio Onnisciente ed Onnipresente, che si rivela in ogni personaggio); ma alla fine rivelandosi come un meraviglioso, oscuro ed illuminante, doloroso e necessario, Viaggio.
Il Viaggio di William/Uomo In Nero, che lo compie interiore ed esteriore; di Maeve, che sta viaggiando attraverso Westworld e attraverso il suo dolore, rivivendolo attraverso gli occhi e il dolore della bellissima geisha Akane; di Arnold/Bernard dentro i suoi ricordi e il suo passato per trovare le chiavi per capire e decifrare il suo presente.
Ma mai viaggio fu più misterioso, impervio e bellissimo, per inoltrarci in un sentiero così indecifrabile da non conoscerne, dopo 15 episodi, minimamente la natura.
di GianLorenzo Franzì