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Interviews

Intervista agli autori del documentario I primi saranno gli ultimi

I primi saranno gli ultimi è un documentario che raccoglie le testimonianze degli ultimi combattenti volontari della guerra civile spagnola. Abbiamo incontrato i due autori del progetto: Pasquale D’Aiello e Mauro Manna per saperne di più su quest’esperienza

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I primi saranno gli ultimi è un documentario che raccoglie le testimonianze degli ultimi combattenti volontari della guerra civile spagnola. Abbiamo incontrato i due autori del progetto: Pasquale D’Aiello e Mauro Manna per saperne di più su quest’esperienza.

G: Allora Pasquale, Mauro, cominciamo col chiedervi come è nato il progetto?

P: Per caso, a fine serata, mentre io e Mauro ci salutavamo continuavamo a discorrere di cose lasciate in sospeso. Siamo tornati a parlare del nostro interesse per i reduci volontari della guerra di Spagna. Abbiamo scoperto che ognuno di noi aveva sviluppato lo stesso atteggiamento rispetto alla loro morte.

Ambedue, nel corso del tempo, eravamo andati a cercarli e ne avevamo conosciuti alcuni. Da quel momento nessuno aveva continuato a cercare loro notizie per non trovare quella della loro morte. Abbiamo capito che c’era qualcosa di sospeso, di irrisolto, volevamo incontrarli ancora una volta per salutare qualcuno a cui eravamo legati, c’erano ancora delle domande che volevamo fare, sentivo anche il bisogno di ringraziarli. In quel momento è nata l’idea di tornare ad incontrarli e che quel viaggio poteva diventare un documentario.

All’inizio mi sembrava un’idea un po’ folle, difficile da realizzare, non sapevamo neppure se ci fosse ancora qualcuno di loro vivo. Ma ci siamo messi in moto sin dal giorno dopo per verificare la fattibilità della nostra idea.

M: Mah guarda se vuoi sapere dell’innesco, per me è stato il gusto della sfida. La sera di cui parla Pasquale abbiamo fatto due conti e ci siamo detti che forse era troppo tardi per parlare con loro, ma che se ce ne fossero stati ancora di vivi, sarebbero stati senza dubbio gli ultimi. Alcune volte nella vita certe idee arrivano troppo tardi, altre tardi ma non troppo. Era quello che dovevamo scoprire, non c’era tempo da perdere, l’impresa aveva il sapore dell’inevitabile e ci siamo buttati a capofitto nella ricerca. Abbiamo trovato cinque volontari che vivono tra Francia e Italia. Tre li abbiamo già intervistati, gli altri due li incontreremo presto. Quando abbiamo cominciato a cercarli le persone che abbiamo contattato ci chiedevano “perché soltanto adesso?”. La risposta era “perché è tardi”.

G: Mauro perché questo titolo?

M: È stata una fulminazione. Sin dall’inizio, come dicevo prima, l’espressione che sintetizzava il senso del nostro lavoro era “gli ultimi”. Che significa essere gli ultimi testimoni di una scelta così importante? Questa era una delle domande che frullava nelle nostre teste. Poi un giorno, confrontando le date che segnavano la storia dei nostri uomini francesi, ci siamo resi conto che erano stati tutti e tre tra i primi ad arruolarsi, tra agosto e settembre del 1936. Ma che erano stati tra i primi anche in senso figurato: Joseph aveva solo 17 anni, Vincente 19 e Antoine 21. Ecco cosa significa “i primi saranno gli ultimi”, che ribalta consapevolmente il detto biblico: gli ultimi testimoni sono i primi che sono partiti, quelli più generosi, quelli che non hanno esitato, quelli che forse – è una suggestione – meglio possono parlarci della forza di una scelta straordinaria come quella di andare a combattere volontariamente per difendere un’idea di libertà. Per me ha il sapore di una destinazione, e rappresenta perfettamente il senso del nostro appuntamento con loro. Che non abbiamo voluto perdere o che, ribaltando la prospettiva, abbiamo saputo aspettare.

I primi saranno gli ultimi

G: Pasquale se l’originale biblico da un senso di ciclicità alle nostre storie così ribaltato ha un colore ineluttabile. Cosa rimane di questa storia?

P: Non volevamo dare un senso di ineluttabilità, non pensiamo che sia sempre vero che chi ha il coraggio di rischiare per primo la sua vita la conserverà più a lungo degli altri. Abbiamo conservato la struttura predittiva della frase biblica ma noi non abbiamo quel potere, ci siamo limitati ad una mera rilevazione, alcuni dei nostri intervistati sono stati tra i primi a partire per quest’avventura, a volte non avendo neppure l’età minima legale per farlo, e tutto il loro atteggiamento non avrebbe lasciato pensare che avrebbero avuto una lunga vita e, invece, proprio loro sono gli ultimi testimoni di quella crudele e sanguinosa guerra.

G: Pasquale come avete deciso di raccontare questi uomini? È stato difficile farli parlare della loro esperienza di brigatisti internazionali?

P: I tre protagonisti che abbiamo incontrato fin’ora, Josè e Vicente Almudever e Antoine Pinol sono chiaramente molto diversi fra loro.

Josè è un uomo dolente, che sente ancora la pena e la rabbia della sconfitta e, nonostante la sua età, non si  è certo pacificato con la sua storia personale e quella del suo paese, un sentimento abnorme, soprattutto se si tiene conto che quest’uomo ha fatto tutto quanto era umanamente nelle sue possibilità per lottare contro il Franchismo.

 Suo fratello Vicente, invece, ha cercato di superare quell’episodio e di chiuderlo in una bolla da cui non fuoriuscisse a distruggere tutta la sua vita. Infine Antoine Pinol, è un uomo che sente il peso dei suoi cento anni, probabilmente gli costa sofferenza tornare su quegli episodi ma in lui è vivo il dovere di lasciare la sua testimonianza.

In relazione a questi differenti caratteri, abbiamo riscontrato diversi approcci alle nostre domande, Josè è un fiume in piena che ci ha travolti, Antoine un uomo che appariva distante da noi e che abbiamo inseguito per cogliere il riflesso della sua vita, Vicente è il più misurato e ha cercato di stare il più possibile sul punto delle nostre domande.

G: Mauro non è la prima volta che tratti questo argomento, hai già scritto un romanzo ambientato negli stessi tempi e luoghi, puoi parlarcene?

M: Sì, il fatto è che mi ha sempre appassionato la storia degli uomini e delle donne che andarono a combattere in Spagna come volontari, per difendere la repubblica, dai più svariati paesi d’Europa e del mondo. A un certo punto quella storia mi è sembrata necessaria per parlare di ieri ma anche di oggi, e mi è venuto in mente di provare a tracciare un confronto generazionale tra quei ragazzi e noi, i ragazzi della mia generazione, vissuti nel cuore di una civiltà occidentale intrisa d’individualismo ma anche di speranza, in un’Europa che negli anni novanta apriva le frontiere, tra Erasmus e viaggi di formazione. La chiave di lettura del confronto era quella che in seguito chiamai “nozione di futuro”, ovvero la capacità, ma anche il coraggio, di sentire e vivere la propria vita come parte di un percorso collettivo e umano più ampio nel quale, la vita stessa, trova la sua ragione. Sei anni fa sono andato in Francia a incontrare due di loro e parte di quelle conversazioni sono andate a finire dentro un romanzo che ho portato a termine grazie all’aiuto di alcune persone che mi hanno insegnato molto sul mestiere di scrivere. Il prossimo lavoro è farlo diventare un libro, la ricerca di un editore è appena cominciata.

G: Pasquale questo progetto è stato messo in piedi in completa autoproduzione. Come avete organizzato la fase di ripresa? Che taglio hai voluto dare a queste ultime testimonianze.

P: L’associazione che co-produce questo documentario, il CSI (Consorzio Sperimentazione Immagine), è una piccola associazione che non aveva mai lavorato su una produzione all’estero e, di certo, non aveva i mezzi per farlo.

Per noi questo progetto era necessario e abbiamo provato in ogni modo a sopperire alle carenze tecniche, sia con finanziamenti personali sia gettando il cuore oltre l’ostacolo, provando a semplificare al minimo la struttura di ripresa, anche se questo ha generato un grande sovraccarico di lavoro, oltre alla regia ho dovuto curare anche tutti gli altri aspetti tecnici.

L’obiettivo che ho provato a raggiungere in fase di ripresa era quello di conferire ai nostri intervistati il ruolo drammatico che meritano, ovvero quello di uomini straordinari a cui è capitato lo straordinario compito di essere gli ultimi testimoni di un episodio che resta uno snodo della storia dell’umanità.

I primi saranno gli ultimi

G: Mauro, Pasquale un documentario è sempre un set molto permeabile e duttile, c’è qualcosa che avreste voluto accadesse e non è accaduto, o siete stati sorpresi da qualcosa che non vi aspettavate?

P: Si, le riprese sono state piene di sorprese. Molte cose sono state diverse da come le aspettavamo anche perché non avevamo un’idea precisa di cosa aspettarci. In generale i nostri intervistati ci hanno sempre sorpreso, a volte con la loro forza, la loro lucidità, sempre con la loro umanità e le loro storie avvincenti. Ci hanno dato molto, sia dal punto di vista umano sia da quello narrativo, adesso speriamo di riuscire a renderlo.

M: Siamo stati sicuramente sorpresi dalla vitalità di questi uomini. È accaduta una cosa meravigliosa che già rende speciale il documentario: noi cercavamo loro e loro aspettavano noi.

G: Quando potremmo vedere il progetto?

P: Ci restano da fare ancora alcune riprese nel corso dei prossimi mesi, tra cui quella con Ada Grossi, speaker di Radio Spagna Libera, e suo fratello Aurelio, ultimo combattente italiano.  Spero che il documentario sia pronto nel corso del 2016, anno nel quale ricorre anche l’ottantesimo anniversario dell’inizio della guerra di Spagna. Ci piacerebbe che il nostro lavoro contribuisca a mantenere viva la memoria dei combattenti volontari della Guerra di Spagna.

Gianluca Bonanno

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