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Taxidrivers Magazine

Dennis Hopper e il Western: Parte 2

“If they move. Kill ‘em”. Il western da riscoprire. Rubrica a cura di Eugenio David Ercolan

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The alcohol was awful. I was a terrible alcoholic. I mean, people used to ask how much drugs I did. I said, ‘I only do drugs so I can drink more’. I was doing the coke so I could drink more. I mean, I don’t know any other reason. I’d start drinking in the morning. I’d drink all day long”.

Dennis Hopper

Per molti chi si è spento la mattina del 29 maggio dell’anno scorso, in una casa losangelina nel Venice district, era un buon caratterista o “l’indimenticabile autore di Easy Rider”, per altri il crudele Frank Booth, spietato aguzzino della Rossellini in Velluto Blu di Lynch, o il cattivo di lusso in costosi flop (WaterworldSuper Mario Bros.). Seppur fondamentali, questi sono solo tasselli… Deprimente fu la maniera in cui la maggior parte delle riviste ed i programmi di cinema coprirono la sua morte. Il pezzo apparso su Ciak ne è un ottimo, delirante esempio.

Ricordo che non era passata neanche una settimana dalla sua scomparsa quando, trovando rifugio in una libreria dell’usato e spulciando tra gli scaffali gonfi, incappo in un librone, fuori catalogo e in lingua tedesca, Dennis Hopper “A System of Moments”. Lo compro e seduto in macchina lo sfoglio, con gli occhi salto da una foto all’altra, scatti dai set, immagini dei suoi quadri e installazioni che spaziano dagli anni ‘60 fino a pochi anni fa, e lì per lì mi rendo conto di quanto quello che è più noto di Hopper sia solo la punta dell’iceberg.

Dopo Là Dove Brucia il Sole passano quasi sei anni prima della sua successiva escursione nel western. In questi anni Hopper si dà molto da fare. Dalla fine degli anni ‘50 la sua immagine comincia a sdoppiarsi perché, se da un lato continua a prendere parte ai progetti degli studios, che nel frattempo si erano accorti del suo talento e avevano iniziato a dargli ruoli più succosi in pellicole con budget più ridotti, contemporaneamente, verso i ‘60, anche grazie al suo crescente interesse per l’arte, inizia a entrare nel nuovo e sempre più folto sottobosco della controcultura underground. I primi due “outsiders” a volerlo saranno Andy Warhol e il dimenticato Curtis Harrington. Il primo lo dirigerà in due dei suoi primi corti sperimentali, The Thirteen Most Beautiful Boys e Tarzan and Jane Regained… Sort of, entrambi del ‘64.  Deve essersi sentito esaltato, il nostro giovane eroe, nel vedere questi mondi così diversi aprirsi dinanzi a lui, inaugurando un periodo di enormi e inaspettate opportunità. Uno dei primi grandi ruoli della sua carriera gli viene dato dal regista indipendente Curtis Harrington nel ‘61, con il piccolo horror d’atmosfera girato in bianco e nero, Night Tide. Siamo quindi nel cuore pulsante e agitato degli anni ‘60…

1965-1969: I 4 Figli di Katie Elder & Il Grinta. Hopper ritorna al genere con una maestosa produzione, nonché sotto la direzione di un autore a lui ben noto: Henry HathawayKatie Elder muore e per la prima volta dopo anni i suoi quattro figli si rivedono in occasione del funerale. John Wayne è il primogenito, noto e controverso pistolero, poi ci sono James Dean, giocatore d’azzardo, Michael Anderson Jr. ed Earl Holliman. All’arrivo nel villaggio dove ha vissuto la loro madre trovano una situazione che non immaginavano: un funerale già pagato a cui partecipa tutto il paese. Tutti sembrano avere solo parole di affetto per la donna morta povera e sguardi di diffidenza e disprezzo per i figli più grandi che l’hanno abbandonata. Qualcosa comunque non quadra sulla perdita della fattoria e, soprattutto, sull’uccisione del padre che aveva perso la terra (si dice, sul tavolo da gioco). Rimandato per più di un anno a causa di un altamente pubblicizzato tumore ai polmoni diagnosticato a John WayneI 4 Figli di Katie Elder, seppur dalla messa in scena tradizionale, rimane una delle pellicole più scanzonate e divertenti dell’ultima fase della carriera di Wayne. La partecipazione di Hopper si riduce a un piccolo e francamente dimenticabile ruolo, nei panni di Dave Hastings. Pochi anni dopo Hathaway lo rivorrà con sé per Il Grinta, importante produzione che vede John Wayne vincere il suo unico Oscar interpretando il coriaceo e duro Rooster Cogburn. Di recente brillantemente rifatto dai fratelli CoenIl Grinta è divenuto un classico imprescindibile. Il ruolo di Hopper, pur se di breve durata, è senza dubbio più incisivo rispetto a quello del film precedentemente menzionato. Interpreta un ladro di cavalli dal suggestivo nome di Moon che darà al protagonista, dopo un pestaggio e sul punto di morire, una preziosa informazione. È ironico notare come proprio l’uomo che stava ponendo le basi per diventare uno dei simboli della Nuova Hollywood più estrema e sovversiva continuasse a partecipare a progetti così legati a un sistema hollywoodiano moribondo e datato. Le pellicole di Hathaway, per quanto memorabili, rappresentano gli ultimi fuochi di un’industria sull’orlo di una drastica rivoluzione.

1968: Impiccalo più Alto. Una banda di vigilantes catturano Jed Cooper, credendolo un ladro di bestiame e un assassino. Lo impiccano senza un processo, lasciandolo là a dondolare sul cappio, credendolo morto. Non lo era… Tra i due classici di Wayne, Hopper partecipa al primo western americano di Eastwood (la serie Rawhide a parte) dopo la sua esperienza italiana, o forse sarebbe più corretto dire conclusa la trilogia del dollaro di Leone. Il mestierante Ted Post, che aveva diretto Eastwood più volte per la sua serie televisiva, e che poi lo avrebbe fatto anche successivamente per il primo sequel dell’Ispettore Callaghan, non ha il tocco essenziale e asciutto di Siegel, né la capacità di fondere l’epico al mistico che invece contraddistinguono i western diretti dall’attore, ma riesce a confezionare un film che, pur guardando al cinema U.S.A. dal taglio classico del decennio precedente, è ormai pervaso da quel cinismo colorato e ruvido dei western  italiani. Hopper, qui in una delle sue apparizioni più memorabili, sembra esserci saltato dentro direttamente dal set dello psichedelico Il Serpente di Fuoco di Corman, a cui aveva partecipato l’anno successivo in una maniera squisitamente sopra le righe; entrando in scena nel ruolo di un folle chiamato il profeta, con la barba selvaggia e i capelli lunghi sporchi di polvere urla: “They’ve come to kill the Prophet! They have come to kill the Prophet!” Siamo nell’anno in cui iniziò tutto….

1969: Easy Rider. Il ‘67 è un anno fondamentale per Hopper; dopo aver preso parte al capolavoro di Stuart RosenbergNick Mano Fredda, è l’anno in cui incontra Corman che lo vuole nel già citato film “in acido” Il Serpente di Fuoco. Su questo set Hopper avrà modo di instaurare rapporti con personaggi che diverranno fondamentali nella sua carriera, come Jack Nicholson Peter Fonda.  Proprio con questi due nomi l’anno successivo (nel ‘68 e non nel ‘67 come la pagina italiana di Wikipedia vorrebbe far credere) Hopper dà inizio alle riprese di quello che a tutti gli effetti è il film americano, alla pari solo con Bonnie & Clyde di Arthur Penn e Il Mucchio Selvaggio di Peckinpah, più importante del decennio: Easy Rider. La storia produttiva di questa pellicola imprescindibile ha inizio con delle riprese di prova, realizzate grazie al Re Mida Corman. Con una troupe ridotta a New Orleans, quella con cui Hopper si ritroverà a combattere tanto da arrivare a uno scontro fisico con il fotografo Barry Feinstein, uno degli operatori. Dopo questo trambusto Hopper e Fonda decisero di riassemblare la troupe e di ricominciare. Nonostante sia stato girato nella prima metà del ‘68, all’incirca nel periodo dell’assassinio di Robert F. Kennedy, il film non ha avuto una prima statunitense fino al luglio del ‘69, dopo aver vinto un premio al festival di Cannes a maggio. Il ritardo fu dovuto in parte ad un lungo processo di editing. Ispirato da 2001: Odissea nello spazio, uno dei primi montati di Hopper era lungo 220 minuti, compreso un ampio uso di flash “in avanti”, cioè scene più avanti nel film, inserite in scene presenti. Solo un “flash-forward” sopravvive nel montaggio finale, quando Wyatt (Fonda, il nome ricorda qualcosa?) nel bordello di New Orleans ha una premonizione della loro tragica fine. Su richiesta di Bob Rafelson e Bert SchneiderHenry Jaglom fu incaricato di montare il film nella sua forma attuale, con Hopper effettivamente rimosso dal progetto. Dopo aver visto il taglio finale, Hopper fu estremamente contento, sostenendo che Jaglom avesse montato il film nel modo in cui lo aveva inizialmente immaginato. Può sembrare una provocazione accostare Easy Rider al western. Ma nella scelta delle location, dei costumi, e soprattutto nella ricerca di libertà dei personaggi vive il West, nel desiderio che hanno di trovare un “mondo” tutto loro nella vastità delle landscape americane, come utopici pionieri di un mondo ormai allo sbando.

Su Easy Rider è divenuto quasi impossibile dividere la leggenda dalla verità, e l’aneddotica al riguardo è tale da far girare la testa: droga, risse, amicizie infrante, cause legali. Quello che però è indubbio è l’impatto culturale che ebbe sulla società e non solo quella americana. Un successo da 19 milioni dollari, il film di culto di Hopper ha aiutato a dare il calcio d’inizio alla nuova fase di Hollywood. I principali studio si resero conto che c’era da guadagnarci con questi film a basso budget diretti da registi d’avanguardia fortemente influenzati dalla Nouvelle Vague e disillusi da un governo repressivo che non li rappresentava più. Stava per avviarsi un capitolo irripetibile e magico per il cinema americano, che avrebbe cambiato tutto. La prima vittima di questo splendido sogno sarà proprio Hopper…

Eugenio Ercolani

You know, I had fantasies like that, about being beat up. Did you ever have a fantasy about women beating you up? Or don’t cowboys have fantasies?

Dennis Hopper in The last movie (nella prossima e ultima puntata)

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