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Crack! Fumetti Dirompenti

Si è da poco conclusa la settima edizione del Crack! Fumetti Dirompenti, tenutasi ancora una volta nelle suggestive segrete del centro sociale Forte Prenestino. A cura di Angelo Cavaliere

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fumetti dirompenti

Si è da poco conclusa la settima edizione del Crack! Fumetti Dirompenti, tenutasi ancora una volta nelle suggestive segrete del centro sociale Forte Prenestino.

Quelle che una volta erano celle sono state trasformate da artisti di tutta l’Europa in piccoli spazi espositivi, musei in miniatura in cui esibire la propria arte: fumetti, performance, proiezioni, animazioni, serigrafie, presentazioni di libri, sono state per quattro giorni protagoniste assolute di quell’asfissiante labirinto di mattoni e pietre, reso ancora più angustio da un’infinta coda di spettatori.

Quei cunicoli, che chissà per quanti anni sono stati abitati solo da chi è stato costretto a viverci, in questi giorni hanno finalmente riacquistato quella vivacità, quei colori, quei sorrisi, che ogni luogo del genere dovrebbe poter conoscere.

Si aggiunga anche il fatto che l’infinita coda di spettatori indossava, nella sua totalità, un divertente paio di occhialini 3D, obbligatori per gustarsi a pieno la mostra, incentrata proprio su questo tema. 3DREVOLUTION è stato, infatti, il nome scelto per quest’anno: la tridimensionalità, nell’arte come nella realtà, è una strada rivoluzionaria, che permette di osservare da un punto di vista ancora non considerato.

I corridoi infestati dagli zombi e dagli esseri deformi del gruppo francese Dernier Cri, ospiti d’onore e organizzatori del torneo di Zombie Football in piazza d’armi, obbligano la massa a scappare verso le splendide macchine tridimensionali animate di Remì, dove girando una manovella il presidente Franklin delle banconote da 100 dollari diventa un teschio che sputa proiettili, fino ad arrivare alla costruzione di un grottesco e allucinato collage dalle sembianze viventi.

C’è posto proprio per tutti al Forte: e allora nelle 24 celle dedicate alle esposizioni personali di artisti o gruppi, si alternano auto produzioni di fumetti provenienti veramente da tutta Europa, che il piccolo marchio editoriale Fortepressa, nato proprio dal Crack!, si impegna a riprodurre in italiano e in inglese contribuendo alla loro diffusione; i lavori di linografia di Serendipità, Le Stampelle e Alkom’x; le creazioni di strumenti elettronici hackerando circuiti elettrodomestici dei Circuit bending; la presentazione di nuove riviste come Watt, un’innovativa piattaforma per scrittori e illustratori, anche esordienti, e la bolognese Burp! incentrata sui fumetti, “gemellata” con Antifà! in cui lavorano nomi già importanti come Toni Bruno.

Il tutto all’insegna di un’arte più moderna, che rispetti quelle che sono le esigenze dirette sia dei nuovi artisti che dei nuovi spettatori. Un’arte che si liberi dai presupposti di conformità che le sono state sempre affibbiate. È questo che rende il Crack! veramente dirompente: il fatto che ogni anno quasi 10000 persone vivano quei sotterranei con tanta voglia di conoscere il mondo che li circonda, la loro contemporaneità; è un festival che parla anche di questo: di un’arte che rimane esclusa dai più rinomati circoli, che viene guardata con fastidio dai musei. E parlando di ciò racconta le storie di tutti quegli zombie che hanno animato il forte in questi giorni, esseri che vagavano tra le strane costruzioni, tra le collane realizzate con ingranaggi di orologi, tra i mille disegni su stampa o su fogli bianchi svolazzanti, ma che avevano tutti negli occhi uno sguardo di complicità, di partecipazione, di supporto.

È stato questo il vero successo del Crack! : ricordare che l’arte non può mai diventare un circuito chiuso autoreferenziale in cui è ammesso solo chi è disposto a vendersi l’anima, ma è, invece, ancora l’unica strada che possiamo percorrere – ed è su questo che punta l’obiettivo.

E forse dalla stessa idea nasce anche la rassegna di corti animati, Animazioni, curata da Andrea Martignoni, che quando non organizza festival crea colonne sonore (già 3 per Blue, tra cui quello presentato qui, solo per citarne uno), e Paola Bristot, che raccoglie i lavori di una decina di artisti italiani, alcuni già famosi come Blue, appena premiato ad Annecy, o Toccafondo, e anche altri meno conosciuti.

Specifichiamo subito che la maggior parte dei corti è stato autoprodotto dagli stessi artisti in collaborazione con le associazioni VivaComix e Ottomani: secondo Martignoni il problema dipende dalla «poca cultura che c’è in Italia, per quanto riguarda la promozione di nuove tecniche artistiche: non esiste nessun tipo di comunicazione tra scuole e regioni in modo che vengano studiati dei piani di finanziamento per permettere la nascita di nuovi centri artistici; le uniche scuole che veramente funzionano in Italia da questo punto di vista sono il Centro Sperimentale di Cinematografia ( si riferisce alla sezione di animazione a Chieri ) e l’Isa di Urbino. Ma non si tratta di un problema di soldi, visto vengono palesemente spesi per altro: si parla proprio di una totale assenza di cultura, di mancanza di apertura verso le nuove forme d’arte e di comunicazione» (il che è ancora peggio, mi permetto di aggiungere).

La selezione di corti presenta dei lavori molto interessati per il connubio tra la musica e l’immagine, come riflesso del rapporto tra compositore ed autore: così prendono vita le immagini creati da alcuni ragazzi della scuola d’animazione piemontese, prima con il gruppo Dream’n’bass e poi con Arithmetique, una favola nera in stile Fantasia; il nuovo di Blue, realizzato a Buenos Aires, Muto, sempre con la stessa estenuante tecnica di animare realmente i propri video, quindi realizzando e cancellando e ricreando i murales come si farebbe per un normale studio di animazione su un personaggio; l’ultima fatica di Gianluigi Toccafondo, Piccola Russia, questa volta in collaborazione con il compositore Nakagawa Toshio, Mr. Music Watanabe; il trapezista di Magda Guidi che rischiava la vita sulle note di John Cage.

In generale possiamo affermare che tutti i registi di questi piccoli capolavori hanno cercato di inserirsi nella linea guida della sperimentazione e della poeticità: se al passo uno di Blue si alternava il cut – up, fino alle Love Boxes di Donato Sansone e agli oggetti animati di Virgilio Villoresi, l’unico corto in cui c’è una voce narrante è quello di GNZ che racconta la triste storia di Marco, ragazzino dalle ossa fragili. Per il resto sono tutti film muti in cui l’unica protagonista è l’immagine, che non ha bisogno di parole per rendersi fortemente esplicita e significativa.

Certo il problema è che questi corti sono ancora poco fruibili, poco conosciuti: l’unico modo per vederli, oltre ad acquistare il dvd che veniva venduto domenica a fine proiezione, è cercarli su YouTube o richiederli a Modo- Info Shop di Bologna. Ma qualcosa si sta smuovendo. Qualcosa sta iniziando a muoversi. Ce lo conferma ancora Martignoni che ci assicura che gli artisti sono i primi interessati alla creazione di una rete che gli permetta di tenersi in contatto e di essere più visibili al pubblico. È proprio per questo che, seguendo i primi passi fatti dal primogenito Crack!, ne sono nati altri simili come il Festival Deragliamenti! di Urbino o il “Novo Doba” di Belgrado.

Una nuova arte è possibile. Basta crederci.

Angelo Cavaliere

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