Esce in sala il nuovo film dell’acclamato regista Cédric Klapisch, noto per la trilogia L’appartamento spagnolo, Bambole russe e Rompicapo a New York (la c.d. trilogia Erasmus) e in generale per essere uno dei massimi cantori della commedia popolare francese contemporanea. I colori del tempo è il ritorno del regista dopo il successo de La vita è una danza ed è distribuito da Teodora Film.
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Il film è articolato su due piani temporali: la Francia di oggi, dove un gruppo di coeredi deve decidere come regolare la divisione di una villa ereditata da un’illustre antenata, e l’avventurosa vita della donna nella Parigi della Belle Époque. In occasione dell’uscita abbiamo intervistato il regista nella magica cornice romana dell’Ambasciata di Francia a Palazzo Farnese.

Vincent Macaigne, Zinedine Soualem, Julia Piaton e Abraham Wapler in una scena del film © Ce qui me meut
Coabitazione forzata
Ne I colori del tempo, come anche nella sua “trilogia Erasmus”, torna una coabitazione forzata tra personaggi che non si conoscono (nella trilogia gli studenti Erasmus e qui i quattro delegati dei coeredi), espediente narrativo che produce momenti di commedia. Come mai torna spesso questo meccanismo?
In effetti, finora ho realizzato quindici film e due serie televisive e, se c’è un comune denominatore di tutte queste storie, è il rapporto tra l’individuo e il gruppo, e come esso si crea. Per gruppo posso pensare a una famiglia, a un gruppo di amici, di coinquilini o, come in questo film, a dei cugini, che a causa delle circostanze devono stare insieme pur non conoscendosi. Mi piace questo argomento perché ci spinge a porci il problema del collettivo, che cosa significa vivere insieme. Nel mio primo film (Riens du tout), ambientato in un’azienda, si parlava dell’assenza di un senso di collettività. Mentre in La vita è una danza si parlava del processo di innamoramento tra due persone. Mi interessa osservare come delle persone che non si conoscono a un certo punto si ritrovano a vivere e convivere insieme.

Vassili Schneider, Suzanne Lindon e Paul Kircher in una scena del film © Ce qui me meut
Il futuro dell’arte
Un’altra “coabitazione” presente ne I colori del tempo è quella delle diverse arti visive. Nella parte ambientata nell’800 parigino al centro delle vicende ci sono un fotografo e un pittore che vivono al limitare dell’avvento del cinema, una forma d’arte che coniugherà fotografia e pittura. Dato che oggi siamo in una situazione simile, con l’intelligenza artificiale generativa che a sua volta assorbe tante arti diverse, qual è la sua visione in merito? Pensa che, come il cinema, sarà integrata alle altre arti o prenderà il sopravvento in modo deleterio?
Oggi siamo in una fase acerba di sviluppo dell’intelligenza artificiale. È uno strumento con potenzialità enormi, ma non sappiamo che conseguenze avrà. Per il secondo anno consecutivo, a tal proposito, ho accettato di far parte della giuria di un festival che ha in concorso sole opere create con intelligenza artificiale generativa (l’Artefact AI Film Festival) poiché sono curioso di vedere cosa possono produrre questi strumenti. In effetti, I colori del tempo parla di questo e ne fa ironia, con il fotografo che prende in giro l’amico pittore dicendogli che dipingere è inutile in quanto, con l’avvento della fotografia, la pittura non servirà più a niente. Sappiamo chiaramente che ciò non è successo. La pittura continua a esistere, e coesistono pittori e fotografi. Per me, nell’arte non c’è mai una sostituzione, ma una sovrapposizione, un incrocio di forme espressive. L’arrivo del sintetizzatore non ha cancellato violini e orchestre sinfoniche, e compositori come Morricone, ad esempio, hanno continuato a mescolare strumenti tradizionali ed elettronici. Sicuramente, è un momento in cui si deve essere più vigili per capire cosa succederà. Ma la cultura è fatta di questo, un melange di sovrapposizioni e unioni, non di sostituzioni.

Una scena del film © Ce qui me meut
Il piacere dell’arte
Dato che nel film è centrale la ricerca di un nuovo modo di vivere l’esperienza museale, per lei esiste una ritualità, o un modo di porsi, quando visita un museo o una mostra?
Per me, è un momento legato al piacere, ma è vero che da ragazzi le gite al museo erano noiose. Forse molti associano il museo al tedio per questo motivo. Per realizzare questo film ho visitato moltissimi musei dove erano esposte le opere degli Impressionisti ed era un puro piacere. È stata una delle migliori fasi della storia dell’arte e potermi nutrire di così tanta bellezza è stato fondamentale nella produzione. So che è difficile trasmettere questa idea ai più giovani, ma io, se fossero esposte opere di Monet o Renoir, avrei voglia di andarle a vedere per soddisfare il piacere che provo. Sono stato a Venezia più di venti volte, ogni volta che ci vado visito la Scuola Grande di San Giorgio degli Schiavoni, dove sono presenti dipinti di Carpaccio. È un piacere enorme e visitare questo spazio è parte della gioia di andare a Venezia. L’esperienza museale e di fruizione di opere d’arte si concentra sicuramente sul piacere che provo mentre le guardo.